Poveri noi. Cosa ci perdiamo nelle traduzioni

Introduzione

È luogo comunque affermare che la traduzione impoverisca necessariamente il testo di partenza.1 Ci si riferisce con questo alle inevitabili difficoltà del trasferimento da una lingua all’altra, il caso forse più persuasivo restando la poesia, in cui diviene praticamente impossibile conservare al tempo stesso e completamente l’aderenza ai contenuti e alla musicalità del testo. Ma a ben guardare il problema riguarda di principio qualsiasi traduzione.

Non è però su questi inevitabili impoverimenti che desidero soffermarmi, bensì su perdite molto più prosaiche e non certo necessarie: quelle di parti più o meno estese del testo di partenza.

Si potrebbe immaginare il testo di partenza come un bicchiere colmo d’acqua e la traduzione come il processo dello spostare con un cucchiaino da caffè tutto il suo contenuto in un secondo bicchiere inizialmente vuoto: fin troppo facile perdere qualche goccia nel ripetuto tragitto. La situazione diviene ancor più critica quando il vero e proprio testo di origine non è un’opera a stampa ma un manoscritto: in questo caso la traduzione è precedeuta da un primo passaggio “di bicchiere”: la trascrizione dall’olografo allo stampato nella stessa lingua, trascrizione su cui in genere si baseranno successivamente tutte le edizioni in lingua originale e, appunto, le traduzioni.

Le trascrizioni sono come i diamanti: preziosissime e “per sempre”. Purtroppo in tal modo tendono a essere “per sempre” anche eventuali errori e omissioni commessi in questa fase originaria del lavoro di pubblicazione delle opere di un autore, fatto che incide soprattutto in generi letterari come i carteggi e gli inediti, molto spesso scritti a mano.

Di seguito riporterò alcuni esempi di questi impoverimenti e dei loro effetti sul prodotto finale, le traduzioni che noi acquistiamo, leggiamo e studiamo.

Ernest Jones
Ernest Jones

Le trascrizioni

Non posso non partire con un mea culpa e segnalare quanto ho omesso nella trascrizione della “lettera della tiroide” di Ferenczi del 23 aprile 1903 a destinatario ignoto.2 Ho saltato un’intera riga della pur breve missiva, per giunta ben visibile e ben leggibile: “lehrreiche Aufschlüsse in Ihrer Arbeit”. Fortunatamente, misteri dei meccanismi attentivi, ho regolarmente tradotto ciò che non avevo trascritto, per cui la versione italiana risulta infine completa e lì la riga in oggetto suona: “chiarimenti… istruttivi nel Vostro lavoro”. Non mi sarei mai accorto dell’omissione presente nella mia trascrizione, non fosse stato per la gentile segnalazione di Judit Mészáros della Ferenczi House di Budapest, che vi porrà rimedio trascrivendo integralmente la lettera nel primo volume della nuova edizione ungherese delle opere complete del grande pioniere.

Fortunatamente – non solo per me – questo pare dunque un esempio di omissione a lieto fine.

Ancora piuttosto innocuo risulta un secondo caso: quello dei due aggettivi tralasciati da Kurt Eissler nella trascrizione di Pensieri sparsi (Zerstreute Gedanken) del 1871, la prima pubblicazione “ufficiale” a noi nota di un Freud quindicenne apparsa sull’ultima pagina di Musarion, la rivista manoscritta del suo liceo.3 Innocuo soprattutto (o solo?) perché, a quanto mi risulta, il breve testo non ha visto ulteriori edizioni a stampa né traduzioni che avrebbero potuto perpetuare l’errore.

Assai più drammatico, invece, un terzo inciampo di trascrizione: non un’omissione, questa volta, ma un errore di lettura che ha condotto a sua volta a un’indebita aggiunta al testo freudiano. Mi riferisco al passaggio della nota “lettera della maturità”, scritta da Freud all’amico Emil Fluss la notte del 16 giugno 1873, in cui un originale “daß er nicht irrt” (lett: “che egli non sbaglia”) si trasformò con la prima trascrizione, verosimilmente quella del 1941,4 in un “daß er’s nicht ist” (letteralmente “che egli non lo è”). Dunque, suppongo, dapprima un errore di lettura per cui “irrt” fu trascritto come “ist”, poi la necessaria interpolazione del pronome “es”, (“ ’s”) per cercare di dar senso alla frase. Questa duplice svista si è tramandata inalterata fino ai giorni nostri proprio perché in genere la trascrizione, una volta fatta, viene “immortalata” e nessuno rispolvera più il documento di partenza. Quello che però fa riflettere è anzitutto l’originaria rinuncia al puro dato percettivo, poiché è ben evidente che nel manoscritto non vi è nulla tra “er” e il successivo “nicht” (si veda figura 1); in secondo luogo il passar sopra alla consistente artificiosità della frase che da tale trascrizione risulta, dimostrata dal fatto che tutte le traduzioni sono ricorse a una più o meno consistente parafrasi del passaggio.5

er nicht irrt
“er nicth irrt”: come si vede, nulla giustifica un ‘s dopo il pronome “er”

Le traduzioni

Ammesso e non concesso che la trascrizione – quando necessaria – sia stata eseguita senza alcuna perdita, chi legge l’edizione a stampa in lingua originale è al sicuro, naturalmente al netto di possibili refusi.

Ma la traduzione si rivela purtroppo un secondo passaggio a rischio di perdite tanto più gravi in quanto il lettore finale difficilmente se ne accorgerà, poiché in genere non ha motivo di confrontare il testo che sta leggendo con l’originale.

Anche in questo caso, naturalmente, le eventuali amputazioni posso avere conseguenze più o meno drammatiche a seconda dell’importanza del testo e di ciò che viene tralasciato.

Per esempio, oggettivamente priva di pressoché qualsiasi ricaduta concreta è la mutilazione di questo passaggio della lettera di Freud a Georg Hermann del 28 febbraio 1936, che in italiano6 è stata resa come:

Fra il 1928 e il ’30 fui più volte per settimane a Berlino dal professor Schröder, soggiornai nella clinica Tegel; mia figlia…

Mentre l’originale7 recita:

Ich war zwischen 1928 un 30 mehrmals wochenlange in Berlin bei Prof. Scfröder, wohnte im Sanatorium Tegel auf Humboldtschem Besitz; meine Tochter… [corsivo mio].

Manca un semplice complemento di stato in luogo, che potremmo rendere con “nella proprietà di Humboldt” oppure “nei possedimenti di Humboldt”, ma il senso e il contenuto della lettera, incentrata da questo capoverso fino alla fine sui ricordi berlinesi di Freud, non accusa il colpo. Al più ne resta impoverita l’immagine dell’autore, venendo a mancare quell’elemento di richiamo alla cultura classica che fa spesso parte, per allusioni o, come nel caso presente, indicazioni dirette, del suo stile di scrittura.

Altri ammanchi sono meno innocui, come quelli che ho individuato in Infantile Cerebral Paralysis,8 la traduzione americana della summa neurologica di Freud Die infantile Cerebrallähmung (1897) mentre ne curavo la traduzione italiana.9 In un caso, per esempio, la mancata trauzione di un “non” trasforma una frase nel suo contrario e ciò che Freud afferma relativamente al lato del corpo “non” affetto da paralisi finisce per essere attribuito a quello malato. Ho già segnalato altrove10 questa omissione, che purtroppo non è l’unica: a volte, in tutta onestà, sono stato sfiorato dal dubbio che a venir eliminati siano stati piccoli passaggi piuttosto difficoltosi dal punto di vista della resa in traduzione, ospiti indesiderati che è parso forse meglio lasciar fuori della porta per non distrubare l’armonia (magari faticosamente raggiunta) tra i presenti: chi ne avrebbe sentito mai la mancanza?

Gli esempi però che più di tutti mi hanno spinto a riflettere sugli ammanchi nelle traduzioni riguardano un carteggio fondamentale per la storia della psicoanalisi e dei suoi pionieri: quello tra Sigmund Freud e Carl Gustav Jung, che purtroppo in italiano11 non è così “completo” come sarebbe nella buona volontà dei curatori e come fu nelle originarie e generose intenzioni degli eredi dei due grandi uomini.12 Trovandomi a dover raffrontare con l’originale13 alcuni passaggi della resa italiana ho scoperto per puro caso due brevi passaggi qui assenti. La cosa inquietante è la casualità di questi reperti minimi, che lascia aperta la questione di cosa si troverebbe passando sistematicamente al setaccio l’intero carteggio. Senza contare che, naturalmente, potremmo procedere ancora più a monte e domandarci se la trascrizione stessa fu in origine completa e corretta. E, ahimè, val la pena farlo: nelle pagine seguenti avremo infatti modo di cogliere un piccolo errore di trascrizione in uno dei passaggi esaminati. Non si tratta qui di un ammanco, ma di un’aggiunta, come per la “s” apostrofata della lettera della maturità di Freud: una banale virgola, che troviamo nella versione a stampa ma non nel manoscritto. Già, quando si dice “per una virgola”. Che modifica però parzialmente il senso della frase in cui è (o non è) inserita.

Ecco dunque i due pezzi mancanti, fortunosamente riconsegnati a lettrici e lettori italiani.

1. A proposito di Bleuler

Nella lettera del 29 ottobre 1910 Jung discute con Freud, tra le altre cose, di come comportarsi con Eugen Bleuler, il noto psichiatra e direttore della clinica psichiatrica zurighese Burghölzli alle cui dipendenze Jung ha lavorato fino all’anno precedente e che Freud corteggia quale prezioso alleato e membro dell’Associazione psicoanalitica internazionale, fondata nel marzo di quello stesso anno durante il secondo Congresso Psicoanalitico Internazionale, tenutosi a Norimberga.

Ecco dunque il testo italiano:

Effetivamente Bleuler è anche vigliacco. Poco tempo fa a Berlino è tornato a svicolare malamente di fronte agli attacchi di Oppenheim. Naturalmente anche questa’onta non vale a sua volta che a metà, perché nella sua apologia d’imminente pubblicazione dev’essersi schierato coraggiosamente al nostro fianco. Non ho avuto il manoscritto, ma l’ha avuto invece Binswanger. A volte mi secco un poco, quando penso che dovrei occuparmi ‘politicamente’ di questi maneggi e di queste porcherie. Non sono neanche un politico, credo invece nel diritto del più forte e, per il resto, lascio che le resistenze si divorino a vicenda.14

Così finisce il capoverso nella nostrana edizione Boringhieri, mentre nell’originale esso prosegue con un ultimo periodo:

Hätten Sie gehört, wie ich mit Bleuler gesprochen, so wären Sie überzeugt, daß jeder ritterliche Mensch, und wäre er mein Todfeind, es gehört hätte.15

Ossia:

Avesse Lei sentito come ho parlato a Bleuler, si sarebbe convinto che ogni uomo retto, foss’anche mio nemico mortale, [mi] avrebbe dato ascolto.16

In sé l’assenza di queste poche righe non compromette né la comprensione né il significato della lettera. Tuttavia veniamo a sapere di un confronto evidentemente alquanto esplicito tra Jung e Bleuler, voluto dal primo a favore di Freud. Un intervento attivo del mittente, dunque, di cui altrimenti non intuiremmo l’esistenza.

2. In margine a un ritratto junghiano di Ernest Jones

Tornando indietro di oltre due anni, nella lettera scritta da Jung il 12 luglio 1908 troviamo un ritratto, invero piuttosto impietoso, di Ernest Jones, il futuro biografo di Freud e che al tempo già da alcuni anni ha abbracciato la causa psicoanalitica:

Lo trovo stranamente incomprensibile. Nasconde molte cose o troppo poche? In ogni modo non è un uomo semplice, è premuto e sfaccettato da cose e situazioni disparate. Ma quel’è la risultante? Troppo ammiratore da un lato, troppo opportunista dall’altro?17

Così la traduzione italiana di Boringhieri, che di nuovo, confrontata con l’originale tedesco rivela un paio di elementi interessanti, in particolare l’omissione di un passaggio (il più critico) e l’errata resa di un tempo verbale (“è premuto e sfaccettato”).

Ecco dunque il brano originale:

Er ist mir unheimlich, unverständlich. Steckt sehr viel oder zu wenig in ihm? Jedenfalls ist er kein einfacher Mensch, sondern ein intellektueller Lügner (womit kein moralisches Urteil gefällt sein soll), der durch vielerlei Dinge und Verhältnisse gepreßt und facettiert wurde. Aber die Resultante? Zuviel Bewunderer einerseits, zuviel Opportunist andererseits?18

Il passaggio che manca in italiano è precisamente: “sondern ein intellektueller Lügner (womit kein moralisches Urteil gefällt sein soll), der”, mentre la forma verbale “è premuto e sfaccettato” risulta essere “gepreßt und facettiert wurde”, dunque “è stato premuto e sfaccettato”.

Il pezzo mancante è doppiamente critico. Anzitutto nel senso che contiene il nocciolo a parer mio più negativo del giudizio che Jung va esprimendo su Jones. Secondariamente perché pone una certa difficoltà sul piano della traduzione. Partendo da questo secondo aspetto, il nodo da sciogliere è qull’“intellektueller Lügner” che a parer mio sarebbe alquanto insoddisfacente rendere con un letterale “bugiardo intellettuale”. Basandomi dal un lato sulla biografia e sulla nomea di Jones quale scaltro e accorto diplomatico,19 dall’altro sulla chiusa dello stesso Jung, che nella lettera in oggetto lo dipinge come opportunista e adulatore, renderei l’espressione con “bugiardo calcolatore”, con ciò intendendo qualcuno che imbastisce con acume le proprie menzogne in vista di un qualche vantaggio personale: Jones non mente né distorce i fatti sull’onda di un qualche impulso, ma in modo ragionato e pianificato.

Detto ciò, la porzione mancante dall’edizione italiana si potrebbe rendere nel suo complesso come:

… ma un bugiardo calcolatore (cosa che non deve intendersi come un giudizio morale), che…

Non si tralasci il commento che Jung pone tra parentesi, un vero e proprio esempio di negazione in senso freudiano, da intendersi dunque con valore diametralmente opposto:20 “cosa che deve intendersi come un giudizio morale”.

Possiamo affermare nel complesso che la reintegrazione del passaggio mancante conferisce al ritratto junghiano di Jones tinte ben più fosche, infiltrandolo di un giudizio particolarmente negativo che solo credendo ciecamente alla parentetica21 potremmo ritenere scevro di implicazioni morali.

Passando al secondo punto, ossia al tempo verbale, lo spostamento da “è” a “è stato premuto e sfaccettato” significa riferire i due verbi non più a qualcosa di contemporaneo al tempo in cui ne scrive Jung, ma a un momento o periodo passato e ciò ne modifica sensibilmente il valore. Stando infatti alla resa di Boringhieri saremmo portati a immaginarci un Jones che, nel 1908, deve far fronte a “cose e situazioni svariate” che lo impegnano (lo premono) senza sosta. Con la nuova versione abbiamo la possibilità di costruire una diversa cornice, partendo dalla constatazione che il verbo “pressen” significa “premere”, “pressare”, anche e prima di tutto letteralmente. Far pressione e “sfaccettare”, ossia definire facce, descriverebbero qui il continuo lavoro compiuto dal passato individuale che, simile allo scultore che modella un materiale morbido come la creta (facendo pressione e creando facce, superfici), plasma il carattere dell’uomo. Jones, dunque, “è stato plasmato e sfaccettato da cose e situazioni disparate” che lo hanno reso quello che è: un bugiardo calcolatore.

A questo punto siamo quasi in grado di tratteggiare per intero il ritratto junghiano, ma non sarà vano confrontare prima la versione a stampa tedesca con il manoscritto: ne emerge infatti la già accennata differenza, minima sì, ma preziosa per la traduzione.

Mentre la versione a stampa inizia con: “Er ist mir unheimlich, unverständlich” l’olografo reca: “Er ist mir unheimlich unverständlich”,22 come ben si vede in questa figura:

Unhemlich unverstandlich
Seconda riga, a sinistra: “unhemlich unverstandlich”. Come si può ben vedere, non vi è virgola tra le due parole.

E la virgola, in questo caso, fa la differenza, poiché mentre in sua presenza dovremmo intendere “unheimlich” e “unverständlich” come due aggettivi con funzione predicativa, in sua assenza il primo termine viene a prendere valore di avverbio che circoscrive il secondo, che resta l’unico predicato. Fatto curioso, l’edizione italiana che traduce “Lo trovo stranamente incompresibile” presumibilmente partendo dalla stampa tedesca e non dall’olografo è qui più in linea con il secondo che con la prima!

Ed eccoci finalmente con tutte le informazioni per approntare una resa italiana complessiva di questo breve passaggio:

Mi è incomprensibile in modo inquietante.23 Cela in sé troppo o troppo poco? In ogni caso non è un uomo semplice, ma un bugiardo calcolatore (cosa che non deve intendersi come un giudizio morale), che è stato plasmato e sfaccettato da cose e circostanze disparate. Ma la risultante? Troppo ammiratore da un lato, troppo opportunista dall’altro?

Val forse la pena fare in chiusura un paio di raffronti con la resa inglese.24 Ecco anzitutto come si presenta il passaggio mancante nell’edizione italiana seguito dal verbo di cui abbiamo corretto il tempo:

…an intellectual-liar (no moral judgment intended!) hammered by the vicissitudes of fate and circumstance into many facets…

Come si nota, la resa di “intellektueller Lügner” con “intellectual-liar” pare più letterale. Tuttavia a uno sguardo più attento sorge qualche perplessità sull’impiego del trait d’union, quasi che i traduttori, Ralph Manheim e Richard Francis Carrington Hull, intendano qui più una relazione paritaria tra due sostantivi, “intellettuale e bugiardo”, che non una verticale tra un sostantivo, “Lügner” e il suo aggettivo qualificativo “intellektueller”.

Quanto al successivo tempo verbale “gepreßt und facettiert wurde”, l’edizione inglese si prende maggiori libertà. Uno dei due verbi scompare (facettiert), sostituito da un’espressione che ruota attorno al sostantivo “facets”; di contro l’altro verbo è appiattito nell’impiego del solo participio passato “hammered”, ciò che se da un lato semplifica (forse) il periodo complessivo trasformando la proposizione relativa da esplicita in implicita, dall’altro di sicuro rende meno chiari i rapporti temporali tra gli accadimenti.

Per giunta, proprio qui che si ha una relazione orizzontale tra due verbi, “gepreßt” e “facettiert”, la versione inglese finisce per dare una struttura più verticale, in cui alla contemporaneità delle due azioni si sostituisce una sorta di rapporto causa-effetto tra un’azione (“hammered”) e la sua conseguenza (into many facets”).

Infine, la scelta del verbo to hammer (lett.: martellare) rinvia nettamente a un’immagine più dura e forte di quella verso cui mi sento più portato io, del plasmare un materiale malleabile e capace con-formarsi. Ma qui è forse più questione di gusti e sensibilità.

Resta in ogni caso salvo sia nella resa inglese sia nella mia proposta il riferimento ai “colpi del destino”, dovuti a “cose e situazioni disparate” (e si potrebbe discorrere sulla scelta di rendere “Dinge” con “vicissitudes”…).

Ancora, è interessante interrogare l’edizione inglese in proposito all’altro punto di questo passaggio che abbiamo sopra commentato: quell’“Er ist mir unheimlich, unverständlich” che è in realtà un “Er ist mir unheimlich unverständlich”. Così l’inglese:

He is so incomprehensible that it is quite uncanny

Ossia: “è così incomprensibile da essere piuttosto inquietante”. Una parafrasi dunque, che se da un lato ha il pregio, a differenza della traduzione italiana, di mantenersi aderente alla struttura dell’edizione a stampa tedesca conservando i due aggettivi (ed è qui pregio di dubbio valore, in quanto al tempo stesso tradisce involontariamente il manoscritto di partenza…), dall’altro complica nuovamente la linearità della frase junghiana. Se infatti nell’edizione tedesca stampata i due aggettivi sono posti sullo stesso piano, per cui Jones è “incomprensibile” e “inquietante”, in quella inglese abbiamo un’arbitraria relazione verticalizzante di causa-effetto: Jones sarebbe “piuttosto inquietante” poiché “così incomprensibile”. Senza contare che la parafrasi si regge su due avverbi, “così” e “abbastanza”, non giustificati dall’originale, mentre toglie l’incipit, “Er ist mir”, con cui Jung chiarisce che sta esprimendo una propria opionione, non esponendo una considerazione impersonale, come invece appare dall’inglese.

Ma qui ci fermiamo, poiché il tema di queste pagine, le perdite prosaiche e di basso rango che possono affliggere trascrizioni e traduzioni, si esaurisce ben prima di queste ultime riflessioni, che riguardano quelle ben più nobili cui si rivolge in genere l’attenzione di chi si occupa di traduzione.

Note

1 Qualche esempio tra i tanti: G. Steiner, Dopo Babele. Aspetti del linguaggio e della traduzione, Garzanti, Milano 2004, p. 294; P.-L. Assoun, S. Bassnett, Translation and Postcolonialism, in G. Calabrò, Teoria, didattica e prassi della traduzione, Liguori editore, Napoli 2001, pp. 143-148; A. Serpieri, Tradurre teatro (Shakespeare): la resa linguistica e la trasmissione dell’energia, in G. Calabrò, op. cit., pp. 159-172; J. Jouet, Traduire du français en français, in G. Calabrò, op. cit., pp. 281-284; P.-L. Assoun, Il desiderio del traduttore. L’inconscio traduttologo, in Psiche, 2(2015), pp. 303-319; J. Altounian, Tradurre ciò che non ha potuto dirsi, in Psiche, op. cit., pp. 339-352; H. Abdelouahed, Il femminile al cuore della traduzione, in Psiche, op. cit., pp. 549-558.

2 Si vedano M. Lualdi, Ferenczi e la tiroide: il destino in una lettera senza destinatario; S. Ferenczi, Sándor Ferenczi: tre inediti in italiano, in Psicoterapia e Scienze Umane, 55(3) (2021), pp. 477-546, in particolare pp. 483-485.

3 S. Freud (1871), Zerstreute Gedanken, in Jahrbuch der Psychoanalyse. Beihefte, 2 (1974), p. 101, trad. it. M. Lualdi, Sigmund Freud, Pensieri sparsi (1871).

4 Id., Ein Jungendbrief, in Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 26(1) (1941), pp. 5-8.

5 Ho trattato entrambe le questioni, dell’originale e delle forzose traduzioni in M. Lualdi, Inciampare mentre si diventa un grande spirito. In alternativa si veda id., Lo “stile idiotico” di Freud, (Pdf), pp 30-31.

6 S. Freud, Lettera a G. Hermann del 28 febbraio 1936, pubblicata per la priam volta in Neue Rundschau, 98(3) (1987), pp. 5-21, trad. it. Tre lettere a Georg Hermann, in Opere di Sigmund Freud, 13 voll., vol. 13, Boringhieri, Torino 1993, p. 195. Si veda anche G. Mattenklott, “Que nous ne sommes donc pas morts…”. Lettres inédites de Sigmund Freud à Georg Hermann, in Revue Internationale d’Histoire de la Psychanalyse, 2 (1989), pp. 255-265.

7 S. Freud, Drei Briefe an Georg Hermann, in Gesammelte Werke, 19 voll., vol. XIX, Fischer, Francoforte 1999, p. 677.

8 Id., Infantile Cerebral Paralysis, Miami University Press, Coral Gables, Florida 1968, a cura di Lester A. Russin.

9 Id., La paralisi cerebrale infantile, Youcanprint, Tricase 2020.

10 Cfr. M. Lualdi, Sigmund Freud, Pensieri sparsi (1871) , op. cit., in particolare la nota 21.

11 S. Freud, C. G. Jung, Lettere tra Freud e Jung, Boringhieri, Torino 1990, p. 392.

12 Si tenga conto che i due precedenti epistolari freudiani erano usciti in forma censurata: Lettere. 1873-1939, uscito nel 1960 sia in italiano che in tedesco (Briefe. 1873-1939) e Le origini della psicoanalisi, edizione incompleta delle lettere a Fließ uscita in italiano nel 1968 e nel 1950 in tedesco con il titolo Aus den Anfängen der Psychoanalyse per la casa editrice londinese Imago. Le censure avevano più che altro lo scopo di salvaguardare una certa immagine di Freud e va dunque riconosciuto il coraggio degli eredi sia di Freud sia di Jung nel concedere libero accesso a tutto il materiale epistolare conservatosi.

13 Id., Briefwechsel, Fischer, Francoforte 1974, p. 402.

14 Id., Lettere tra Freud e Jung, op. cit., p. 392.

15 Id., Briefwechsel, op. cit., p. 402. Corsivo nell’originale a stampa, sottolineato nel manoscritto. L’olografo è conservato presso l’ETH-Bibliothek di Zurigo. Sono estremamente riconoscente all’amico Davide Radice per avermi segnalato questa preziosissima fonte.

16 Inserisco per un confronto la resa offerta dalla traduzione inglese: “If you had heard how I talked to Bleuler you would be convinced that any sporting person, even if he were my deadly enemy, would have listened”. In id., The Freud/Jung Letters. The Correspondence between Sigmund Freud and C. G. Jung, Princeton University Press, Princeton 1974, p. 364.

17 Id., Lettere tra Freud e Jung, op. cit., p. 177.

18 Id., Briefwechsel, op. cit., 181-182.

19 M. Lualdi, Passando da Stekel. Edizione critica dell’autobiografia di Wilhelm Stekel, Youcanprint, Tricase 2015.

20 S. Freud, Die Verneinung (1925), trad. it. La negazione, in Opere di Sigmund Freud, op. cit., vol. X, Boringhieri, Torino 1978, pp. 198-201. Si veda anche la recente e accurata traduzione, accompagnata da approfondimenti filologici e storici, curata da Davide Radice: S. Freud, La negazione, Polimnia Digital Editions, Sacile 2019.

21 Verrebbe da dire che Jung, almeno in questa occasione, non è meno bugiardo di colui cui rivolge tale accusa. Anch’egli del resto avrebbe qui un fine calcolato: tenere per sé i favori di Freud screditando i “fratelli rivali”. Non si dimentichi del resto che anche il rapporto tra Sabina Spielrein e Carl Gustav Jung viene regolarmente discusso da questi nelle lettere a Freud in maniera abilmente parziale e faziosa. Si veda in proposito M. Lualdi, A un passo dall’arte, in “Non è vana curiosità”. Carteggio Freud-Jensen (1907), Youcanprint, Tricase 2019, in particolare pp. 101 e segg.

22 Anche questo olografo, conservato presso l’ETH-Bibliothek di Zurigo è consultabile online. Qui si può anche osservare, per inciso, la presenza di una correzione: “ein” cancellato e sostituito da “kein”. Inoltre, procedendo nella lettura subito dopo il passaggio qui commentato, scopriamo che la paziente indicata nella versione a stampa come “B.” si chiamava in realtà “Schneider”.

23 “Unheimlich”: sono stato tentato di rendere con “perturbante”, ma non è Freud che sta impiegando il termine e sono ancora lontani i tempi delle sue riflessioni sull’unheimlich/perturbante. Cfr. S. Freud, Das Unheimlich (1919), trad. it. Il perturbante, in Opere di Sigmund Freud, op.cit., vol. IX, Boringhieri, Torino 1977, pp. 77-118.

24 S. Freud, C. G. Jung, The Freud/Jung Letters. The Correspondence between Sigmund Freud and C. G. Jung, op. cit., p. 164.

 

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