Sigmund Freud e lo stile idiotico

Tra le lettere più precoci di Freud a noi giunte, spicca senz’altro quella cosiddetta “della maturità”, scritta all’amico Emil Fluss la notte del 16 giugno 1873, a conclusione dell’esame di maturità. Essa apre il primo degli epistolari freudiani dato alle stampe, che usciva nel 1960 in tedesco, ma anche nelle traduzioni italiana e inglese per opera rispettivamente della casa editrice torinese Boringhieri e della newyorkese Basic Books,1 segni di un periodo in cui ben altra era la curiosità per la psicoanalisi e la vita di Freud e ben altra era l’intraprendenza degli editori.

Vorrei concentrare l’attenzione su uno dei passi più noti di quella lettera, partendo dalla traduzione nostrana del 1960:

“Il mio professore mi ha detto – ed è la prima persona che osa dirmelo – che avrei ciò che Herder chiama così bene uno stile ‘idiotico’, cioè uno stile che è al tempo stesso corretto e caratteristico”.2

A muovere la mia curiosità è stato principalmente il fatto di appartenere alla schiera di coloro che, oltre a non sapere definire uno “stile idiotico” se non dicendo che è “corretto e caratteristico”, non hanno idea di cosa abbia detto in proposito il filosofo Johann Gottfried von Herder (1744-1803): chi mi fa in ciò compagnia può considerarsi destinatario di queste pagine. Quanto agli altri, potranno forse trovare interessanti alcune questioni in cui mi sono imbattuto procedendo con le mie indagini e che mi hanno portato a riprendere la lettera nella sua versione olografa e in diverse traduzioni susseguitesi nel corso dei decenni.

 

Alla ricerca della definizione perduta

A leggere le poche righe di Freud si direbbe che la via più spontanea e sicura per rispondere al nostro quesito sullo stile “idiotico” sia quella di interrogare direttamente Herder, soprattutto considerando che il linguaggio rientra tra i suoi principali filoni di pensiero, al punto che da alcuni è annoverato tra i fondatori della linguistica moderna.3 Quale sorpresa dunque constatare che gli studiosi hanno commentato il passaggio della lettera muovendosi pressoché regolarmente su altre vie, a partire naturalmente da Ernest Jones, che nel primo volume della sua immortale biografia freudiana (1953), scrive:

“Il suo esaminatore gli disse che aveva uno stile che il poeta Herder avrebbe definito ‘idiotico’, cioè al tempo stesso corretto e personale”.4

L’autore, non pago di avere chiarito che uno stile “idiotico” è “corretto e personale”, si premura di inserire una nota in cui spiega che quell’aggettivo significa più precisamente:

“Riferendosi all’etimologia della parola: personale, originale (cf. idiomatico)”.5

La citazione da Jones merita qualche commento: si sarà notato anzitutto che il professore di Freud è ridotto ai ranghi di un “esaminatore” e lo stile, da “corretto e caratteristico” che era, diviene “corretto e personale”. Quanto al primo slittamento, lo si ritrova anche nell’edizione originale inglese, mentre per il secondo, che ci interessa più da vicino, responsabile resta la traduzione italiana, poiché nell’edizione inglese troviamo, con netta aderenza al testo originale della lettera, “distinctive”, appunto “peculiare”, “caratteristico”.6

In secondo luogo il periodo è scritto in modo tale da dare al lettore l’impressione che dalla lettera del giovane Freud sia stato tratto solo l’aggettivo “idiotico”, l’unico virgolettato a mo’ di citazione, ma non la successiva definizione “cioè al tempo stesso corretto e personale”.7 Viene in questo modo operata un’ingiustificata decontestualizzazione, con l’effetto surrettizio di attribuire a quella definizione – che non va dimenticato: appartiene a un adolescente, per quanto illustre – un valore assai più impersonale e affidabile, da dizionario.

Terzo e ultimo punto, dopo aver proposto la formula freudiana di “idiotico” facendola passare per la definizione, Jones aggiunge la nota etimologica: evidentemente quel termine doveva parergli piuttosto curioso. Non si è forse lontani dal vero supponendo che con la decontestualizzazione delle parole di Freud e il ricorso piuttosto meccanico all’etimologia, Jones abbia fatto scuola anche qui, come effettivamente è avvenuto per molti altri punti della storia di Freud e della psicoanalisi.

Proseguendo lo studio delle fonti, troviamo un altro Ernest, Wolf, che scrivendo nel 1971 un articolo sugli aspetti artistici dello stile di Freud, si trova a citare il passaggio epistolare sullo stile idiotico e commenta:

“A 17 anni egli riferiva ironicamente, benché con orgoglio, che il suo professore aveva paragonato il suo stile a quello di Herder, «uno stile al contempo corretto e caratteristico»”.8

Qui il “professore” ha riacquisito giustamente il suo titolo. Tuttavia il termine “idiotico” è scomparso! Ne capiremo più avanti il motivo. In secondo luogo l’episodio subisce una distorsione, poiché nell’originario racconto di Freud non vi è traccia di alcun paragone tra lo stile di Freud e quello di Herder, più semplicemente si parla dell’applicazione alla scrittura del primo di un concetto discusso dal secondo.

Quindici anni più tardi, un terzo Ernest, Ticho:

“… il suo tema di tedesco [della maturità] … fece sì che il suo professore gli dicesse «che ho ciò che Herder chiama così bene uno stile distintamente personale, ossia uno stile al contempo corretto e caratteristico»”.9

Come Wolf, così Ticho, virgolettando “uno stile al contempo corretto e caratteristico”, riconsegna al proprietario tale definizione, con ciò ridimensionandone la portata, ma anche qui non vi è traccia del nostro aggettivo. La novità è che lo troviamo sostituito dal sintagma “distintamente personale” con il quale viene reintrodotta, questa volta non per leggerezza di traduttori terzi, la qualificazione di “personale”. Almeno è salvato il nome di Herder, che peraltro non viene minimamente coinvolto nelle argomentazioni dell’autore, pur riguardanti le influenze della lingua tedesca sul pensiero di Freud.

Un anno dopo è Patrick Mahony a riprendere in considerazione la questione dello stile idiotico:

“… al ginnasio Freud già scriveva in quello che un suo insegnante definì stile ‘idiotico’, ciò che non deve essere inteso nel suo corrente senso peggiorativo ma, secondo la sua etimologia greca, nel senso di ‘personale’, ‘individuale’”.10

Finalmente ritroviamo il nostro aggettivo, ma a differenza dei tre Ernest, Mahony espunge il riferimento storico a Herder, nonostante la fonte da lui citata, ossia Jones,11 lo riporti espressamente, come visto. Dovremmo però forse apprezzare la coerenza di Mahony: che farsene di Herder se poi la via seguita per spiegare “idiotico” è unicamente quella etimologica battuta da Jones e implicitamente seguita anche da Wolf e Ticho?

Muovendomi nella letteratura psicoanalitica di oltre un trentennio non ho trovato un solo autore che si scosti sostanzialmente dalla versione di Jones. Ma se davvero la faccenda fosse tutta qui, dovremmo attribuire uno stile idiotico a tutti quelli che scrivono rispettando le regole grammaticali di una lingua e con una qualche peculiarità o vezzo stilistico. E poiché praticamente ognuno di noi, volente o nolente, immette nello stile qualche tratto personale, il tutto viene a ridursi ulteriormente alla condizione di scrivere “correttamente”. Insomma, non parrebbe un gran complimento, non per un liceale giunto all’esame di maturità nella Vienna di fine ‘800 – dove e quando la preparazione richiesta non era certo delle più bonarie o buoniste – che pure prosegue la lettera all’amico commentando con grande entusiasmo le considerazioni del professore:

Questo fatto incredibile ha suscitato la mia giusta meraviglia, e non perdo occasione di propalare ai quattro venti la lieta notizia, la prima nel suo genere. Per esempio, la faccio sapere a Lei, che finora non si era accorto di scambiare lettere con uno stilista della lingua tedesca”.12

Cosa non va? Ma ancor prima, cosa ha da dirci Herder? Perché delle due l’una: o si tratta di filosofo privo di importanza, ma in tal caso anche il complimento non ne ha, oppure è autore di tutto rispetto e se è così allora bisognerà pur portarglielo questo rispetto e dire qualcosa su di lui.

 

La definizione ritrovata

A ciò ha pensato Peter-André Alt in una recentissima biografia di Freud, a breve disponibile anche in italiano, in cui spiega che:

“…nel senso originario del termine significava che egli [Freud] sfruttava con sommo effetto l’elemento inconfondibile e assolutamente individuale della lingua tedesca. Herder aveva definito gli idiotismi come “bellezza13 che nessun vicino può sottrarci con la traduzione”.14

Trovo che in queste poche righe vi sia la soluzione del problema più semplice e al tempo stesso più sorprendente.

Più semplice perché non fa che risalire alla fonte originaria e specifica del termine “idiotico”; più sorprendente perché veniamo a sapere che esso non si riferisce a certe caratteristiche dello stile di chi scrive, bensì della lingua da questi impiegata! Si tratta di un ribaltamento pressoché completo di quello che altrimenti si potrebbe intuire (o, a questo punto, fraintendere) dalla scarna definizione data da Freud all’amico e dalla tradizione etimologica inaugurata da Jones e poi acriticamente mantenuta. Emblematica in tal senso è la sostituzione di “idiotico” con “distintamente personale” in Ticho.

Sulla stessa linea di Herder, un dizionario italiano del 1869, dunque del torno d’anni cui appartiene la lettera di Freud, così definisce “idiotismo”:

“Gli idiotismi sono certe forme di dire tanto proprie di quella lingua che l’uom parla, che chi le usa par nato in essa, e mostra subito il suo paese… Se tutti gli idiotismi fosser bassezze, addio proprietà e purità della lingua. Gli idiotismi, sprezzati da’ retori, sono a’ pensatori e agli artisti gemme e misteri. Ma chi li ricerca risica di parer d’affettare la volgarità”.15

In altre parole: dica ciò che vuole l’etimologia, ma evidentemente all’epoca il termine “idiotismo” aveva generalmente quel significato.

 

Gli idiotismi, più da vicino

Tornando a Herder, il passo citato da Alt ancora non ci svela in concreto cosa siano questi idiotismi: per il filosofo, a seconda della storia del popolo e dell’ambiente in cui vive, dei suoi usi e dei suoi costumi, la lingua risulterà più adatta e duttile rispetto ad altre nell’affrontare certi temi e, per contro, si troverà in difetto in altri ambiti. Ad esempio, essendo a suo dire i francesi più portati al riso che non i tedeschi, la loro lingua eccelle nel suscitare l’ilarità, mentre il tedesco eccelle nella prosa seria, nella poesia profonda.16 è anzitutto questa disparità di “equipaggiamento” delle lingue nell’affrontare specifici temi a creare terreno fertile per gli idiotismi, criticità in fase di traduzione e a fare degli idiotismi dei marcatori dell’individualità di ogni lingua:

“Se la lingua è strumento delle scienze, allora un popolo che abbia avuto prosatori riusciti senza una lingua poetica e grandi saggi senza una lingua precisa è un’assurdità. Si sfidi la mia affermazione e si traduca Omero in olandese [così l’autore, che chissà cosa aveva contro l’olandese…] senza parodiarlo, si renda uno sdrucciolevole Crebillon in lappone o Aristotele in una delle lingue selvagge che non danno accoglienza ad alcun concetto astratto. Non si dovrebbero avere [allora] per ogni ambito delle scienze pensieri e scritti che siano per questa o quella lingua assolutamente intraducibili? Quantomeno un dialetto, in cui la letteratura o è spuntata fuori da sé oppure è stata innestata, è infinitamente diverso da un altro [al punto che], nell’opinione delle scienze lo si deve chiamare idiotico”.17

I dialetti sono dunque idiotici per eccellenza, in quanto avrebbero una sorta di genesi spontanea che li qualificherebbe come particolarmente caratteristici e più distanti gli uni dagli altri e rispetto alle lingue “ufficiali”, con ciò rendendo ancor più ardue le traduzioni. Sia detto per inciso: Freud conosceva bene il dialetto viennese e senz’altro lo parlava, cosa comprovata da alcune interpretazioni proposte sia ne L’interpretazione dei sogni, sia in Psicopatologia della vita quotidiana, sia infine ne Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio.18 Il punto è che in un ambiente polilinguistico come la Vienna di fine ‘800 il dialetto assumeva un valore rafforzativo dell’identità proprio in quando inconfondibile segno di appartenenza a una precisa città e, in qualche modo, a una precisa “cultura”, a prescindere dalla classe sociale di appartenenza:19 il che è perfettamente in linea con le riflessioni di Herder su dialetto-idiotismo-differenziazione/specificità.

Non per nulla gli idiotismi fungono anche da vitale anello di congiunzione tra la lingua scritta e quella parlata e quotidiana20 e dunque più prossima ai dialetti che la attraversano: in ciò sta appunto il pericolo che segnalano Tommaseo e Bellini: “Ma chi li ricerca risica di parer d’affettare la volgarità”.

Stando ai brani che sono riuscito a reperire e consultare, in realtà Herder è piuttosto avaro di esempi concreti di idiotismo e tra questi pochi vi è quello di “sole” e “luna” che in tedesco, a differenza di altre lingue, sono rispettivamente femminile (“die Sonne”) e maschile (“der Mond”). Herder spiega che per altre nazioni “la mitologia, il calcolo del tempo e il modo di vivere del popolo hanno colto altri punti di vista e dato origine ad altre forme [linguistiche]”.21 Per portare a conseguenze pratiche l’esempio completerei così: non si potrebbe mai tradurre del tutto in tedesco il nostro francescano “fratello sole, sorella luna”, in quanto le caratteristiche che hanno reso per noi maschile l’astro diurno, e che consentono di qualificarlo metaforicamente come “fratello”, non sono applicabili alla “Sonne” tedesca, non più di quanto noi considereremmo intercambiabili le caratteristiche prototipiche, per così dire, di “fratello” e “sorella”.

Naturalmente non è solo questione di generi grammaticali, anche se questo aspetto può essere di notevole aiuto a cogliere un certo tipo di distanza segnalato da Herder tra il tedesco e tutte quelle lingue che non contemplano il genere neutro e per i cui parlanti nativi, tra i quali noi italiani, diviene assai difficile concepire qualsiasi cosa senza ricondurla automaticamente all’universo del femminile o del maschile. Si pensi ad esempio ai neutri tedeschi “das Mädchen” (“la ragazza”) o “das Kind” (“bambino” e “bambina”).

Il singolo autore, continua Herder, se veramente creativo ha l’ardire di frugare nelle viscere della lingua per cercare e trovare gli idiotismi a lui più confacenti, come si cerca l’oro nel fianco della montagna,22 sì che alla fine uno stile idiotico diventa anche caratteristico del singolo scrittore e in tal senso personale. Ma appunto, alla fine: poiché in principio e in realtà, le peculiarità che veicolano la qualità idiotica sono e restano della lingua, dalle cui profondità lo scrittore attinge abilmente.

Con tutto ciò, mi pare che ancora non siamo giunti a cogliere gli idiotismi nella loro concretezza. Per farlo occorre procedere oltre e considerare che nel discutere il tema, Herder si pone in aperta polemica con il collega svizzero contemporaneo Johann Georg Sulzer (1720-1779), il quale per parte sua auspica una sorta di epurazione della lingua che, privata degli idiotismi, diverrebbe strumento di comunicazione più efficiente23 in quanto più facilmente traducibile. All’opposto, Herder vede nel progetto sulzeriano soltanto un drammatico impoverimento del mezzo linguistico,24 una sorta di perdita di identità. Si ripensi in tal senso anche alle considerazioni di Tommaseo e Bellini: “addio proprietà e purità della lingua”.

Sulzer dedica agli idiotismi un apposito paragrafo del suo enciclopedico Allgemeine Theorie der Schönen Künste.25 Anche qui viene anzitutto segnalata l’intraducibilità dell’idiotismo, definito come

“un modo di dire, un’espressione, un’espressione idiomatica26 tanto specifica di una lingua che non è possibile tradurla in un’altra conservandone la forma”.

Anche Sulzer riconosce che esistono idiotismi personali, ma si tratta di un’estensione del concetto, che in primis si applica alla lingua in sé. Tra le tipologie di idiotismo segnala i proverbi e le metafore in cui peraltro l’elemento idiotico non è da ricercare nell’immagine in sé, quanto nelle sue caratteristiche grammaticali, dunque forma e struttura, poiché sono queste a renderli di fatto intraducibili, se non a costo di deformazioni. Val la pena riportare uno dei suoi esempi, che ci riguarda da vicino:

“Certo che quando un italiano dice ‘Dall’un’all’altr’aurora’27 si può riproporre in ogni lingua il senso di queste parole, ma non in tutte in modo che venga impiegato un solo sostantivo, come in italiano”.

Riassumendo: gli idiotismi sono espressioni la cui esistenza si evidenzia nel raffronto tra le lingue, poiché marcano tra di esse certe frange di incomunicabilità, di non sovrapponibilità.28 Se Herder pare farne più una questione di contenuti, per cui una lingua può non avere termini per esprimere un concetto invece immediato per un altro idioma, Sulzer mette a fuoco l’elemento più formale della grammatica; se Herder esemplifica con singoli termini (“die Sonne”, “der Mond”), Sulzer parla di intere espressioni. In realtà mi pare che per entrambi il punto nodale, vincolato com’è alla traduzione, stia comunque a livello del modo in cui in una lingua può esprimersi. Essa può non possedere un termine specifico per indicare esattamente quel concetto espresso da un preciso vocabolo in un’altra: questo perché il livello di specificità o genericità di ogni lingua rispetto a un ambito ne riflette i bisogni, legati chiaramente, come vuole Herder, alla storia, alle necessità e alle abitudini di un popolo. Ad esempio, l’etnia brasiliana Tupi possiede numerosi termini per indicare le differenti specie di pappagalli, ma nessuno per la specie complessiva, ciò che riflette il fatto che per un tupi è più importante distinguere tra vari tipi di pappagallo che tra pappagalli e altri uccelli. Allo stesso modo, le popolazioni che vivono in climi più rigidi e che dunque necessitano di indumenti particolari e differenziati per le varie parti del corpo, hanno una più ricca scelta di vocaboli per indicare queste ultime, a differenza delle popolazioni tropicali che hanno esigenze d’abbigliamento assai più ridotte e meno variegate.29 Quando manca il termine appropriato, ogni lingua può comunque ricorrere a una parafrasi per riferirsi a un certo concetto per cui una lingua diversa possiede un termine specifico; ma proprio qui, nel dover ricorrere a una soluzione grammaticale diversa da quella di partenza, si svela il carattere idiotico messo in luce da Sulzer.

Si giunge per questa via a raccogliere sotto l’etichetta “idiotismi” un insieme eterogeneo di elementi linguistici, che in sostanza rappresentano altrettanti dilemmi per il traduttore. Oltre al singolo termine (Herder) e alla frase idiomatica (Sulzer), si danno certe strutture sintattiche, come le inversioni, che naturalmente assumono valenza assai maggiore in quelle lingue in cui la successione degli elementi di una proposizione è rigidamente stabilita in base alla loro funzione logica, come appunto in tedesco,30 in cui le inversioni possono essere sfruttate per rimarcare l’importanza ad esempio di un complemento o di un avverbio.

Se poi si considera che spesso i modi di dire sono giocati anche sui suoni, ad es. “chi non risica non rosica” o “capire Roma per toma”, e che a volte è soprattutto questo elemento, che ne facilità la memorizzazione e la diffusione, a essere compromesso dalla traduzione, ad es. il tedesco “kein Saft, keine Kraft”, molto meno incisivo nella resa letterale italiana: “niente succo, niente forza”, si vorranno comprendere tra gli elementi idiotici di una lingua anche i ritmi e i suoni, gli accenti e le cadenze.

E dunque: uno stile idiotico è ben altro da uno stile “corretto e caratteristico”, o peggio ancora “personale”. A definirlo è l’uso accorto e voluto di ciò che la lingua ha da offrire di così caratteristico da, ripetiamolo, marcare irrimediabilmente lo scarto rispetto ad ogni tentativo di traduzione.

Che ci siano la volontà e la consapevolezza dell’autore di sfruttare gli idiotismi è requisito fondamentale: per trarre un esempio da un libro molto amato da Freud, il fedele compagno di Don Chisciotte, Sancho Panza, mostra un linguaggio assai ricco di modi di dire, dunque di idiotismi, ma non per scelta, bensì e più semplicemente perché quello è l’unico, o il prevalente, codice linguistico che egli conosce. Non direi dunque idiotico il suo stile che pure è personale e, presumibilmente, corretto. Così come senz’altro personale era lo stile di uno dei maestri di Freud, Theodor Meynert: ma per l’incomprensibilità, non certo per gli idiotismi, al punto che il “famoso neurologo di Francoforte Ludwig Edinger dichiarava di ammirare il [suo] primo traduttore… perché egli stesso spesso non lo capiva [leggendolo] in tedesco”.31

Va da sé che saranno soprattutto gli artisti, i poeti e i prosatori a saper cogliere e sfruttare queste peculiarità linguistiche e infatti sono essi i soggetti maggiormente presi in considerazione sia da Herder sia da Sulzer: così l’idiotismo immette nella scrittura artistica. Si pensi, banalmente, alle rime di una poesia, che il più delle volte in traduzione non possono che venire sacrificate, a meno di non concedersi notevoli gradi di libertà nella resa del contenuto e della sua struttura, rischiando però di perdere in tal modo aspetti peculiari del poeta per salvare quelli della lingua (idiotici).32

Ma a parte il fatto sopra ricordato che Freud conosceva il dialetto viennese, in sé idiotico, cosa ha a che vedere lui con tutto questo?

 Maria Brzozowksa, The Return (2019)
Maria Brzozowksa, The Return (2019)

 

Freud e l’idiotismo

Che Freud conoscesse il corretto significato del termine “idiotico” lo dimostra la lettera della maturità, ma non per la succinta definizione che egli ne dà e che sarebbe poi stata acriticamente presa quale insindacabile punto di riferimento, “al tempo stesso corretto e caratteristico”, bensì per il commento subito successivo, quando si proclama, a metà tra il convinto e l’ironico “uno stilista della lingua tedesca”: ritroviamo qui infatti l’esplicito riferimento alla lingua e al suo impiego quali elementi necessari a fare di uno stile di scrittura uno stile idiotico.

Naturalmente, tanto il Freud della maturità quanto il suo professore non potevano che riferire l’elogio alla produzione scolastica dell’allievo, ma per noi il punto è capire se si possa applicare lo stesso giudizio anche alla vasta mole della sua successiva produzione scientifica.

Abbiamo visto che gli idiotismi immettono la parola nel campo dell’arte e se a prima vista è questo un ambito assai distante da quello scientifico, bisogna tener presente che quando e dove scriveva Freud, ossia “[n]ell’impero asburgico, lo stile scientifico era spesso letterario”.33

Sappiamo inoltre che Freud stesso si riconobbe, in diverse occasioni e non sempre con piacere, l’anima e l’ambizione dello scrittore e romanziere, che non va ritenuta seconda a quella di uomo di scienza.34 In tal senso sono stati proposti diversi e fruttuosi tentativi di determinare paralleli tra lo stile di Freud e quello di grandi nomi della letteratura tedesca, tra i quali mi sia sufficiente ricordare Goethe e Lessing.35 Accostamenti del genere non sono certo frequenti nel mondo scientifico o comunque non sempre hanno esito felice e testimoniano pertanto dell’effettiva componente letteraria della pagina freudiana: ciò basti a giustificare la ricerca in essa dell’elemento idiotico.

Analizzando lo stile di Freud nel 1930, già Walter Muschg segnalava i ritmi, le sonorità del periodo, gli accenti, persino nei titoli, i giochi di parole, le frasi idiomatiche, le attente e particolari scelte dei verbi36 come frutto di una non comune padronanza della lingua:37 si tratta proprio di aspetti che afferiscono all’idiotismo. Certo, Muschg non impiega mai questo termine, ma usa l’equivalente “Wendungen” (da me reso con “frasi idiomatiche”), che nel 1930 aveva del tutto o quasi soppiantato il precedente “Idiotismen”.

Alle caratteristiche appena indicate si può affiancare il rilievo universalmente riconosciuto dei numerosi neologismi proposti e creati da Freud, in ciò agevolato senz’altro dalla facilità con cui il tedesco conia nuovi termini per unione di due o più, dando ai traduttori al tempo stesso nuove fonti di fascino e motivi di tormento.38

Se poi, sulla scorta di Sulzer, prendiamo in considerazione le metafore, ci troviamo indiscutibilmente di fronte a una figura retorica che diversi autori e studiosi segnalano come assai frequente (se non addirittura la più frequente) nelle sue opere.39 Tra le quali spicca per importanza, per unanime consenso, quella archeologica.40 Sia però chiaro: non tutte le metafore possono essere considerate “idiotismi”, poiché, come chiarisce Sulzer, non sono le immagini in sé a renderle idiotiche ma, sostanzialmente, l’impossibilità di traferirne in altra lingua il senso conservando al contempo quelle immagini.

L’elemento idiotico inoltre, vuoi per il rimando a certa musicalità, vuoi per il vitale ancoraggio, sottolineato da Herder, al linguaggio quotidiano, funge da anello di congiunzione tra la lingua scritta, in particolare letteraria, e la lingua parlata: da un lato, in quest’ultima il suono, da cui trae origine e di cui è traccia la musicalità della lingua scritta, diviene prioritario e si fa veicolo stesso della comunicazione; d’altro alto, in essa fioriscono con maggiore spontaneità i modi di dire e le frasi idiomatiche. Non sfuggano le ulteriori connessioni della lingua parlata tanto con lo stile di Freud quanto con lo sviluppo della psicoanalisi.

Quanto allo stile, basti pensare che molti dei suoi primi lavori, a partire da quelli prepsicoanalitici, sono scritti per essere letti di fronte a un pubblico, come ad esempio i colleghi dell’Accademia delle Scienze di Vienna o della Società dei Medici di Vienna. Ciò resta vero anche per diversi lavori psicoanalitici, ad esempio Etiologia dell’isteria, letto di fronte alla Società di Psichiatria e di Neurologia di Vienna ed esitato nel famoso commento di Krafft-Ebing: “sembra una favola scientifica”41 che, come osserva acutamente Wolf, solo a metà è svalutante, poiché d’altra parte sottolinea la bellezza della prosa, una bellezza tipica della favola42 ossia, aggiungo io, di un genere fortemente radicato nella tradizione orale del racconto. Si pensi poi alle lezioni universitarie che sarebbero poi andate a comporre Introduzione alla psicoanalisi:43 la prima serie di lezioni, scritte preventivamente e poi pronunciate a memoria, e la seconda serie di lezioni, mai pronunciate ma scritte immaginando davanti a sé un uditorio reale. In ogni caso, resta tipico dello stile di Freud un carattere spesso colloquiale.44

Quanto allo sviluppo della psicoanalisi, sono da ricordare anzitutto le prime riunioni della Società del Mercoledì tra il 1902 e il 1906, quando ancora mancava Otto Rank, che avrebbe poi steso i preziosi verbali di quegli storici incontri. Di quei quattro anni resta in sostanza nulla più che alcuni articoli giornalistici e divulgativi di Wilhelm Stekel, mentre il resto fu pura parola detta. La comunicazione orale resta tuttora parte fondante della trasmissione del sapere analitico45 e della formazione analitica, basti pensare all’analisi didattica,46 nonché ovviamente strumento cardine della pratica clinica.

Si comprenderà del resto come la capacità di sintonizzarsi sull’elemento “idiotico” abbia notevolmente agevolato Freud nell’originaria comprensione dei modi di funzionamento dell’inconscio: basti in tal senso pensare a Il motto di spirito oppure, sul piano clinico, a certe interpretazioni che non possono non fondarsi proprio su questa capacità dell’inconscio di giocare con le parole. Lo dimostrano ad esempio i rapidi accenni sopra fatti all’uso del dialetto in certi passaggi di importanti opere freudiane.

Curioso, in fondo, come un elemento non certo indispensabile della lingua e che anzi può risultare di ostacolo alla trasmissione del sapere divenga così centrale nel percorso di Freud e nella disciplina da lui fondata. Viene quasi da attribuire la qualità idiotica alla psicoanalisi stessa, o quantomeno ritenerla parte di ciò che caratterizza e soprattutto differenzia la parola che circola nella stanza d’analisi47 rispetto a qualsiasi altra forma dialogica, la si voglia terapeutica o meno: forse che (anche) perché idiotica, la situazione analitica diviene difficilmente comunicabile al di fuori dell’esperienza viva e diretta?

 

Idiotismi freudiani

Vorrei ora proporre alcuni esempi concreti di idiotismi freudiani partendo sia da alcune fonti sia, considerato che gli idiotismi si evidenziano in particolare nei tentativi di traduzione, dal mio personale cimento nella traduzione italiana degli scritti preanalitici di Freud.

Anzitutto prendo da Muschg48 il gioco di parole in Psicologia delle masse e analisi dell’Io tra “Herdentier” e “Hordentier”49 che, come si può facilmente immaginare, perde irrimediabilmente la sua sonorità in qualsivoglia resa italiana: nella traduzione per Boringhieri E. A. Panaitescu opta per “animale che vive in gregge” (“Herdentier”) e “animale che vive in orda” (“Hordentier”).50 Tutta un’altra musica.

Allo stesso modo Didier Anzieu commenta l’impiego del verbo “empfangen” (“ricevere [ospiti]”) nel racconto del sogno di Irma ne L’interpretazione dei sogni: la parola tedesca veicola un secondo significato, “concepire [un bambino]”51 che, benché fondamentale per la comprensione e l’interpretazione del sogno, viene irrimediabilmente perso nelle traduzioni francese, inglese – ammette Anzieu – e italiana, aggiungo io.52

Naturalmente, un sostantivo che dà filo da torcere ai traduttori resta “Trieb”.53 Già Muschg coglie in proposito la significatività di un commento di Freud in La questione dell’analisi laica, che non solo dimostra la padronanza della lingua da parte dell’autore, ma anche quella consapevolezza nell’uso di certe sue caratteristiche distintive necessaria affinché uno stile possa definirsi idiotico:

“… pulsioni [Triebe] parola che molte lingue moderne ci invidiano”.54

Ho riportato la resa di OSF, che in nota a piè pagina commenta con una rassegnazione che è più da traduttore che da curatore:

“è vero. Anche in italiano non esiste una parola che corrisponda perfettamente al ‘Trieb’ tedesco. Il termine ‘pulsione’ adottato in queste ‘Opere’ non sempre risulta idoneo a rendere la peculiare pregnanza della parola tedesca”.

Quanto poi alle metafore freudiane, non posso che rimandare al recente volume curato da Francesco Marchioro per Bollati Boringhieri, Sigmund Freud Aforismi Metafore Passi, di cui si attende a breve una rinnovata edizione. Pur ricordando che non è l’immagine in sé a renderla idiotica, ma altri aspetti legati alle origini dell’immagine stessa, spesso per forza di cose radicate nella storia della nazione che la impiega, in quella raccolta si troveranno certo esempi di idiotismo.

Un esempio di impiego metaforico altamente idiotico ce lo offre un termine su cui siamo già indirettamente incappati parlando in una precedente nota della sua traduzione con “cathexis”: il tedesco “Besetzung”, che rientra nella terminologia militare in cui indica l’avanzare e il ritirarsi delle truppe e che Freud impiega metaforicamente per indicare le “espansioni” e le “ritirate” della pulsione. Sulla sua problematica traduzione si sofferma Alex Holder, il quale fa notare che “occupazione”, che sarebbe la traduzione più letterale, rischia di far pensare a un’attività intesa come professione, lavoro; mentre la più classica resa con “investimento” ha rimandi più finanziari che militari. Insomma, pare che qualcosa debba venire irrimediabilmente sacrificato nella traduzione. Per parte sua Freud scrivendo a Jones in inglese il 20 novembre 1908 rende tale termine con “interest”.55

Infine, qualcosa dalle mie personali esperienze di traduzione dei testi del giovane Freud che, se da un lato sono cronologicamente più prossimi al diciassettenne che riceveva il complimento del suo professore, dall’altro dimostrano come la sua scrittura abbia sempre avuto qualità idiotiche e che dunque il professore aveva ben giudicato lo studente di liceo.56

Nello scritto del 1877 sui testicoli dell’anguilla si trova un complesso periodo in cui Freud propone ben sei aggettivi composti con desinenza “-förmig”,57 ossia “a forma di” o come nei composti italiani a desinenza “-forme/i”, quali ad esempio “nastriforme/i”. Si tratta di un periodo che meriterebbe un’analisi anche dal punto di vista della struttura sintattica, ma che qui mi limito a riferire poiché l’elemento idiotico si rivela sia per via della difficoltà della resa di alcuni degli aggettivi in “-förmig”, sia nel ripetersi, quasi fosse un ritmo, dell’elemento sonoro “-förmig”:

“Le cellule recano in sé le caratteristiche dei corpi di tessuto connettivo: sono irregolari, semiluna-formi, a sezione triangolare, talvolta astriformi ma solitamente fusiformi, mostrano un nucleo non granulato, che si colora intensamente [con reagenti], che in genere determina la forma della cellula e che è circondato da un sottile orlo il quale finisce nei prolungamenti fibriformi, solitamente listelliformi o piattiformi.”

Questa la mia resa, nel tentativo di conservare struttura sintattica e i sei aggettivi con identica desinenza.58

Nel secondo scritto sul Petromyzon (1878), si trova un capoverso di poche righe in cui Freud ripete per ben sette volte il sostantivo “Faser” (“fibra [nervosa]”). A leggere il passaggio del testo ci si rende conto che non vi è una necessità intrinseca di ripetere costantemente tale sostantivo: non solo il vocabolario tedesco è assai ricco di termini e sinonimi, ma non mancano certo adeguati pronomi, cui Freud peraltro ricorre in tante occasioni per snellire la scrittura. è quindi evidente che si tratta di una sua precisa volontà, che a mio parere non si può spiegare con la semplice intenzione di sottolineare l’importanza del termine in questione, ma che risponde a logiche di ritmo e di sonorità:59

“Nella radice le fibre si uniscono in un sottile ma denso fascicolo, che non consente di contarne le fibre o di seguire il decorso di una fibra singola. Ma, in prossimità della divisione, la massa di fibre della radice si rarefà e si allarga; forma nei casi più favorevoli uno strato di fibre, e [in esso] singole fibre sono agevoli a seguirsi. Le cellule si trovano parimenti in uno strato semplice e allontanano ancor di più le une dalle altre le fibre della radice e dei due rami”.60

Nel lavoro del 1882 sul gambero di fiume, interrompe a mezzo la citazione di un autore per inserire il verbo “prosegue” che nell’originale è: “fährt er fort”:

“‘Finora’ prosegue ‘tutti gli sforzi…’”.61

Sul piano del significato questo verbo non presenta chiaramente alcun problema in traduzione. Il punto è che se ne perde completamente la ricca e molteplice sonorità: si pronuncia (si ricordi il nesso tra idiotismi e lingua parlata) infatti “fert er fort” e così dunque abbiamo il gioco “fert”-“fort”, il raddoppio “er”-“er”, la tripletta “er”-“er”-“or”, le due “f” e così via.

Quanto ai neologismi, il desiderio di introdurre nuovi termini è già ben vivo in questi primi scritti. L’esempio più eclatante lo si ritrova nel già citato scritto del 1878 in cui, a proposito di certe fibre osservate nei rami nervosi del midollo spinale del Petromyzon afferma:

“Chiamo questi elementi fibre appoggiate [angelehnte Fasern]”.62

Qui Freud fa uso di due termini comuni (“angelehnte”, “Fasern”), ma il modo in cui li impiega mi ha reso assai difficoltosa la traduzione. Ho cercato indicazioni in testi italiani coevi di neuroanatomia e neuroistologia, ma senza risultati. Non so dunque come gli autori italiani chiamassero ai tempi le “angelehnte Fasern” e per parte mia mi sono tenuto a una traduzione letterale, pur conservando una netta sensazione di insoddisfazione.

Si tratta di una denominazione che non passa inosservata nemmeno ai suoi contemporanei. La ritroviamo infatti già nella breve recensione di questo lavoro fatta da Ernst Wilhelm von Brücke il 15 luglio 1878 all’accademia delle scienze di Vienna.63 Due anni dopo viene ripresa, con tanto di virgolette, in altre due recensioni.64 Ancora vent’anni più tardi, nel 1899, Theodor Ziehen (1862-1950) citerà con tanto di virgolette e caratteri distanziati le “angelehnte Fasern”, indicando, tra gli autori che ne avevano parlato, anche Freud, pur non riconoscendo espressamente a quest’ultimo la paternità del termine.65

A fine 1885, iniziando quello che diverrà poi l’inedito del 1887 Introduzione critica alla neuropatologia, Freud commenta espressamente le bizzarrie della nomenclatura neuroanatomica e già nel 1886 avanza in tal senso alcune innovazioni terminologiche.66 Ma la proposta in tal senso senz’altro più nota del Freud preanalitico resta l’introduzione del sostantivo “agnosia” nel fondamentale saggio sulle afasie.67

Quanto alle metafore, tutta la letteratura neuroanatomica del periodo è ricca di termini impiegati in senso metaforico, per cui il percorso delle fibre nervose presenta, in una coerente immagine botanica, “tronchi”, “rami”, addirittura “rametti”; o ancora, le fibre nervose sono costituite da “cilindri” primitivi. Freud non si distacca certo da questo impiego ma sa aggiungere a volte descrizioni metaforiche assai plastiche, che fanno ben presentire il futuro autore di godibilissimi scritti psicoanalitici. Si consideri questo ricco passaggio, preso dal lavoro del 1882 sul gambero di fiume, in cui sta descrivendo cosa si può osservare all’interno di una cellula nervosa se la si ingrandisce sufficientemente al microscopio:

“…ora si riconosce chiaramente una striatura, la quale decorre da un lato concentricamente intorno al nucleo, dall’altro convergendo verso il prolungamento della cellula unipolare. Pensare a una struttura a bucce o a strati del corpo cellulare lo vieta l’osservazione che quelle strie non descrivono mai cerchi completi ma sempre [e] soltanto brevi pezzi arcuati. Se si prende in considerazione una singola stria si nota che si interrompe dopo breve decorso; gli spazi più chiari [tra l’una e l’altra stria], i quali consentono di riconoscerla come isolata, vengono meno e una stria si incontra con un’altra. Non posso intendere questo quadro come altro dall’avere qui a che fare con delicati cordoni, i quali formano una rete a maglie allungate, ordinate concentricamente intorno al nucleo. Verso il prolungamento questa rete è aperta, come quando una borsa fatta a maglia viene tesa attorno a un pallone”.68

Anzitutto ho reso con “a bucce” l’aggettivo tedesco “schalig(en)”, che non ha un immediato corrispettivo italiano ma richiede una parafrasi, la più tipica restando nella nostra lingua l’espressione idio(ma)tica “a buccia di cipolla”. Proseguendo si incontra un termine di uso comune, “cordoni” (“Stränge”), impiegato per segnalare un contrasto di spessore con altro sostantivo di uso comune “Fäden”, ossia “fili”. Si finisce con la plastica immagine della rete tesa attorno a un pallone, di un’immediatezza tale, anche dopo quasi un secolo e mezzo, da non richiedere ulteriori commenti.

Nei primi lavori di Freud residuano anche tracce della dimensione orale della comunicazione, per la quale erano originariamente pensati. Ad esempio, presentando nel 1877, ancora studente universitario, il primo dei due lavori sul Petromyzon, scrive:

“Così, un preparato che ho qui davanti…”.69

Anche sul versante di un elegante sfruttamento delle peculiarità grammaticali del tedesco, non mancano esempi nella prosa freudiana. Si consideri una sequenza come la seguente:

“einem Ast einer Wurzel eine Strecke”.70

Ossia: “[dopo aver seguito] un ramo di una radice per un tratto”. Si noti l’abilità di inanellare in sequenza diretta tre coppie articolo indeterminativo-sostantivo, per giunta in tre casi diversi! Nella resa italiana non si può non perdere il ritmo della frase, interrotto com’è dalla necessaria inserzione di preposizioni semplici.

Ancora: in diverse occasioni, Freud preferisce iniziare un periodo con un complemento oggetto (a volte anche piuttosto lungo) e proseguire con l’inversione soggetto-verbo, imposta dalla grammatica tedesca, anziché impiegare la formula ben più usuale soggetto-verbo-complemento oggetto. Eccone un esempio tra molti:

“Quella stagione che viene indicata dagli autori come periodo della fregola dell’anguilla – da ottobre a gennaio – non l’ho potuta trascorrere a Trieste”.71

Il motivo per cui Freud impiega simili inversioni è chiaro e consiste nel rimarcare l’importanza dell’elemento anticipato creando una sorta di primacy effect che la traduzione non riesce a conservare appieno quando la lingua di arrivo, come l’italiano, ha regole più elastiche per la disposizione degli elementi logici nella proposizione: in tal caso all’occhio finisce per risaltare di più il mezzo (l’insolita disposizione) che non il fine (lo stabilire una gerarchia per importanza tra i vari componenti del periodo).72 Per giunta, volendo conservare l’anticipazione, diviene poi (quasi) necessario richiamare il lungo complemento preposto con un pronome prima del verbo (“non l’ho”), cosa che non trova parallelo nell’originale tedesco.

Queste considerazioni sulle strutture sintattiche concludono il nostro viaggio attraverso gli idiotismi freudiani, ponendosi essi stessi tra l’esigenza stilistica (restando in tal senso idiotismi) e la necessità argomentativa: all’altro capo della produzione extra-analitica di Freud, l’imponente monografia del 1897 sulle paralisi cerebrali, è ricca di periodi dalla struttura logica assai articolata, che non risparmiano coordinate, subordinate, coordinate di subordinate ecc… Qui non si tratta più di stile idiotico, ma nemmeno di un narcisistico crogiolarsi dell’autore nelle proprie abilità di scrittura. Lungi dall’essere puro vezzo vi si vede la necessità di rendere esplicito il concatenarsi dei pensieri e la relazione logica tra essi, serrando in questo modo le fila dell’argomentazione di volta in volta presentata.73

 

Note

1 Cfr. S. Freud, Briefe 1873-1939, S. Fisher, Francoforte 1960; id., Lettere: 1873-1939, Boringhieri, Torino 1960; id., Letters of Sigmund Freud 1873-1939, Basic Books, New York 1960.

2 Id., Lettere: 1873-1939, op. cit., p. 4.

3 G. Reale, D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, 3 voll., vol. III, La Scuola, Brescia 1983, p. 31.

4 E. Jones, Vita e opere di Sigmund Freud (1962-1964), 3 voll., vol. I, Il Saggiatore, Milano 1962, p. 47.

5 Ivi, p. 54 n. 26.

6 Id., The Life and Work of Sigmund Freud (1953-1957), 3 voll., vol. I, Basic Books, New York 1953, p. 20.

7 Come ricostruirò più avanti, quando Jones pubblicava il primo volume della biografia di Freud (1953), pochi lettori avrebbero potuto intendere diversamente, poiché al tempo la lettera contava soltanto una pubblicazione, avvenuta nel 1941 su una rivista di settore, per giunta tedesca, la Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, che egli cita espressamente come fonte. Cfr. ivi, p. 408 n. 19.

8 E. S. Wolf, Saxa Loquuntur. Artistic Aspects of Freud’s “The Aetiology of Hysteria”, in Psychoanalytic Study of the Child, 26 (1971), p. 550.

9 E. A. Ticho, The influence of the German-language culture on Freud’s thought, in International Journal of Psychoanalysis, 67 (1986), p. 227.

10 P. J. Mahony, Freud as a Writer, Yale University Press, New Haven 1987, p. 15.

11 Ivi, p. 22 n. 57.

12 S. Freud, Lettere. 1873-1939, op. cit., p. 4 (corsivo mio).

13 “Schönheit” nell’originale. In realtà il passo di Herder citato da Alt reca, più comprensibilmente, il plurale “Schöhnheiten”. Cfr. J. G. Herder, Ueber die neuere Deutsche Litteratur. Fragmente (1868), in B. Suphan (a cura di), Herders Sämmtliche Werke, 24 voll., vol. II, Weidmannsche Buchhandlug, Berlino 1877, p. 44.

14 P. A. Alt, Sigmund Freud. Der Artz der Moderne. Eine Biographie, C. H. Beck, Monaco 2016, p. 53.

15 N. Tommaseo, T. Bellini, Dizionario della lingua italiana, 10 voll., vol. II, tomo II, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1869, p. 1272.

16 J. G. Herder, Ueber die neuere Deutsche Litteratur. Fragmente, op. cit., pp. 46-48.

17 Id., Johann Gottfried von Herder’s sämmtliche Werke. Zur schönen Literatur und Kunst, 2 voll., vol. I, Cotta’schen Buchhandlung, Stoccarda, Tubinga 1827, pp. 31-32 (parentesi quadre mie).

18 S. Freud, Die Traumdeutung (1899), trad. it. L’interpretazione dei sogni, in Opere di Sigmund Freud, 12 voll., vol. 3, Boringhieri, Torino 1967, p. 458; id., Zur Psychopathologie des Alltagslebens (1904), trad. it. Psicopatologia della vita quotidiana, in Opere di Sigmund Freud, vol. IV, Boringhieri, Torino 1970, p. 257 e p. 268; id., Der Witz und seine Beziehung zum Unbewussten (1905), trad. it. Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, in Opere di Sigmund Freud, vol. V, Boringhieri, Torino 1972, p. 55.

19 W. M. Johnston, The Austrian Mind. An Intellectual and Social History 1848-1938, University of California Press, Berkeley, Los Angeles, Londra, p. 201; J. Amati Mehler, S. Argentieri, J. Canestri, La Babele dell’inconscio. Lingua madre e lingue straniere nella dimensione psicoanalitica, Raffaello Cortina, Milano 1990, pp. 27-28.

20 J. G. Herder, Ueber die neuere Deutsche Litteratur. Fragmente, op. cit., p. 48.

21 Ivi, p. 49.

22 Ivi, p. 50. Questa immagine herderiana mi ha colpito in quanto una simile la si ritrova nel terzo dei cinque aforismi scritti da Freud nel 1871 sotto il titolo Pensieri sparsi: “Alcuni uomini sono come una miniera ricca e mai completamente esplorata”. L’immagine è interessante perché, come Kurt Eissler commenta, da un punto di vista cronologico è la prima rappresentazione visiva data da Freud della psiche umana. Cfr. K. Eissler, Psychoanalytische Einfälle zu Freuds “Zerstreute(n) Gedanken”, in Jahrbuch der Psychoanalyse. Beihefte, 2 (1974), pp. 112-113. Klaus Schröter ne ricerca le origini nel Wilhelm Meisters Wanderjahre di Goethe. Cfr. K. Schröter, Maximen und Reflexionen des jungen Freud, in Jahrbuch der Psychoanalyse. Beihefte, 2 (1974), pp. 184-185. Curiosamente Schröter, a differenza di quanto ricostruisce per i restanti aforismi, non riporta a sostegno alcun passo specifico di tale opera. Mi chiedo se lo scritto di Herder, ammesso che Freud lo conoscesse, non possa annoverarsi tra le sue fonti per quell’aforisma.

23 A. K. Koller, Herder’s conception of milieu. The youthful Herder, in The Journal of English and Germanic Phylology, 23 (1924), p. 235.

24 J. G. Herder, Ueber die neuere Deutsche Litteratur. Fragmente, op. cit., p. 104.

25 J. G. Sulzer, Allgemeine Theorie der Schönen Künste, 4 voll., vol. I, Weidemanns Erben und Reich, Lipsia 1771, p. 556.

26 “Wendung” nell’originale. Armin Koller chiarisce che questo termine finì non solo per essere sinonimo di “Idiotism” ma addirittura per sostituirlo. Già ai tempi di Herder, in realtà, “Idiotism” pare fosse parola obsoleta. Cfr. A. K. Koller, Herder’s conception of milieu. The youthful Herder, op. cit., p. 232 n. 23.

27 Il verso è tratto dal Madrigale XI del volume postumo di poesie Rime sacre di Domenico Cerasola. Cfr. D. Cerasola, Rime sacre, Antonio de’ Rossi, Roma 1747, p. 140.

28 Mi chiedo se oggi, visto che di “idiotismi” non si parla praticamente più, non li si possa cogliere in particolare in quelle parole ed espressioni che rinunciamo a tradurre preferendo integrarle in maniera per così dire “grezza” nella nostra lingua. Mi riferisco ai tanti inglesismi, di cui il periodo pandemico ci ha regalato un nuovo esempio con il termine “lockdown”, come una volta dominavano i francesismi (banalmente: “Chance”, adottato anche dal tedesco, che persino lo declina) termine che a sua volta oggi assume spesso una connotazione opposta a quella originaria di “raffinato”, come quando si dice: “Scusate il francesismo”. Ciò che si è fatto uscire dalla porta, rientra alla finestra.

29 M. Harris, Cultural anthropology (1987), trad. it. Antropologia culturale, Zanichelli, Bologna 1990, pp. 52-53.

30 A. K. Koller, Herder’s conception of milieu. The youthful Herder, op. cit., p. 235.

31 A. Hirschmüller, Freud, Meynert et Mathilde. L’hypnose en question, in Revue Internationale d’Histoire de la Psychanalyse, 6 (1993), p. 279.

32 Personalmente mi sono confrontato con materiale in versi solo traducendo la novella di Wilhelm Jensen L’ombrellino rosso, che contiene poesie dello stesso Jensen, di Hölderlin e di Matthisson. Ho preferito cercare di cogliere le sfumature del contenuto ma, a prescindere dal risultato concretamente raggiunto, mi sono visto costretto a rinunciare del tutto alla rima. Opposta la scelta di Jean Bellamin-Nöel, che ha tradotto la stessa novella in francese: ha conservato le rime, ma a mio parere immettendo nel nuovo testo deviazioni troppo marcate da quello originale. Cfr. W. Jensen, Der rote Schirm (1892), trad. fr. L’ombrelle rouge, Imago, Parigi 2011, pp. 12-14.

33 D. G. Ornston, Improving Strachey’s Freud, in id. (a cura di), Translating Freud, Yale University Press, New Haven, Londra, p. 14. Osservazioni come questa sono a mio parere molto importanti: non possiamo aspettarci né di leggere né tanto meno di valutare l’opera freudiana applicandole indiscriminatamente i nostri attuali criteri relativi alla prosa scientifica, al saggio argomentativo. La comunicazione scientifica è molto cambiata nel frattempo e di ciò va tenuto conto se si vuole restare il più prossimi possibile al messaggio freudiano. Certi toni, certe scelte verbali, certe allusioni, spesso spregiative, rispetto al lavoro e alle teorie dei colleghi, quando non sferzanti critiche, erano la norma ben più di oggi, in cui il “politically correct” reclama sempre più spazi anche laddove ci si dovrebbe occupare solo di ricerca e di cultura. Cfr. M. M. Lualdi, Introduzione, in S. Freud, Scritti. 1887, Youcanprint, Tricase 2018, pp. 20-22; M. M. Lualdi, Sigmund Freud. Figlio della neurologia, padre della psicoanalisi, in S. Freud, Introduzione critica alla neuropatologia, p. 75. Mano a mano che ci allontaniamo dal periodo storico in cui Freud scriveva, aumenta l’importanza di rinnovare la consapevolezza di questa distanza. Cfr. F. Borgogno, Presentazione di Franco Borgogno all’edizione italiana, in S. Freud, Corrispondenza con Ernest Jones (1903-1939), 2 voll., vol. I, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 42-44.

34 E. S. Wolf, Saxa Loquuntur. Artistic Aspects of Freud’s “The Aetiology of Hysteria”, op. cit., pp. 549-550; E. A. Ticho, The influence of the German-language culture on Freud’s thought, op. cit., pp. 228-229, p. 231; P. J. Mahony, Freud as a Writer, op. cit., p. 9; A. Kaplan, The conduct of inquiry. Methodology for behavioral science, Chandler Pub. Co., San Francisco 1964, p. 259; M. M. Lualdi, A un passo dall’arte, in S. Freud, W. Jensen, “Non è vana curiosità”. Carteggio Freud-Jensen (1907), Youcamprint, Tricase 2019, pp. 41 e sgg.

35 W. Muschg, Freud als Schriftsteller, in Psychoanalytische Bewegung, 2(5) (1930), p. 508; E. S. Wolf, Saxa Loquuntur. Artistic Aspects of Freud’s “The Aetiology of Hysteria”, op. cit., p. 544; Ticho, The influence of the German-language culture on Freud’s thought, op. cit., pp. 228-230; P. J. Mahony, Freud as a Writer, op. cit., p. 5, p. 119, p. 138 n. 4.

36 W. Muschg, Freud als Schriftsteller, op. cit., p. 470, p. 490.

37 Questa considerazione, che può sembrare scontata, di fatto pare non esserlo. Anzieu, ad esempio, sostiene che le peculiarità dello stile di Freud siano da attribuire piuttosto a una pluralità di codici linguistici, a una “polimorfa cultura” che offrendogli diverse griglie simboliche gli facilita il riconoscimento dei complessi processi inconsci. Cfr. D. Anzieu, The Place of Germanic Language and Culture in Freud’s Discovery of Psychoanalysis between 1895 and 1900, in International Journal of Psychoanalysis, 67 (1986), p. 222. Da ciò Anzieu trae la conclusione, rigida a parer mio, della necessità di un pluralismo culturale – leggasi linguistico – per ogni psicoanalista. Non concordo, poiché a mio parere la pluralità in sé resta elemento accessorio, qualunque importanza le si voglia attribuire. Il punto davvero centrale, tanto per comprendere lo stile di Freud quanto per coglierne le ricadute – lo vedremo più avanti – a livello di comprensione psicoanalitica dell’inconscio, resta la padronanza del fattore idiotico, senza il quale la pluralità delle lingue non incide sullo stile e tantomeno sulla funzione analitica, come ben dimostrano le produttive analisi condotte su pazienti polilingui e poliglotti. Cfr. J. Amati Mehler, S. Argentieri, J. Canestri, La Babele dell’inconscio. Lingua madre e lingue straniere nella dimensione psicoanalitica, op. cit., p. 290, p. 294, pp. 305 e sgg.

38 W. Muschg, Freud als Schriftsteller, op. cit., p. 478; E. S. Wolf, Saxa Loquuntur. Artistic Aspects of Freud’s “The Aetiology of Hysteria”, op. cit., p. 543; Anzieu ne conta circa 220. Cfr. D. Anzieu, The Place of Germanic Language and Culture in Freud’s Discovery of Psychoanalysis between 1895 and 1900, op. cit., p. 225; J. Laplanche, P. Cotet, A. Bourguignon, Translating Freud, in D. G. Ornston (a cura di), Translating Freud, op. cit., pp. 168 e sgg.

39 W. Muschg, Freud als Schriftsteller, op. cit., p. 473, pp. 489-491; H. Politzer, Recensione di “Sigmund Freuds Prosa: Literarische Elemente seines Stils” di Walter Schönau, in The German Quarterly, 42(4) (1969), pp. 739-741; F. Petrella, Lo stile freudiano. Terminologia, metafora e strategie testuali nelle OSF, in Rivista di psicoanalisi, 52(1) (2006), p. 101; F. Marchioro, Introduzione. Le novelle e la natura dello psichico in Freud, in S. Freud, Aforismi Metafore Passi, Bollati Boringhieri, Torino 2020, pp. 12 e sgg. Si discosta dal coro Holt, il quale considera l’iperbole come la figura del discorso più impiegata da Freud. Cfr. R. R. Holt, On reading Freud (1973), in Abstracts of The Standard Edition of the Complete Psychological Works of Sigmund Freud, International Universities Press, Madison 1973.

40 W. Muschg, Freud als Schriftsteller, op. cit., p. 494; P. J. Mahony, Freud as a writer, op. cit., p. 105; F. Marchioro, Psicoanalisi e archeologia. Freud e il segreto di Atena, Sovera Edizioni, Roma 2017, pp. 67 e sgg.; F. Marchioro, Introduzione. Le novelle e la natura dello psichico in Freud, op. cit., p. 13. Muschg afferma che, per quanto ampio sia il ricorso alla metafora, si tratta di un talento (“Gabe”) che in Freud si sviluppa lentamente. Cfr. W. Muschg, Freud als Schriftsteller, op. cit., p. 491. Posso concordare sul fatto che le metafore divengano più frequenti negli scritti freudiani con il procedere degli anni, e lo faccio fidando nell’autore, poiché non ho compiuto un simile studio “quantitativo”, ma non sull’evolversi del talento in sé: nella misura infatti in cui esso pertiene all’elemento idiotico dello stile, va pensato presente già nel Freud adolescente, quello cui il professore rivolgeva il bel complimento stilistico. Inoltre non solo, come vedremo, la metafora già compare elegantemente nei primi scritti scientifici di Freud, che di non pochi anni precedono i lavori analitici, ai quali ultimi purtroppo si limitano tutti gli studi sullo stile di Freud che ho potuto consultare, ma proprio la metafora archeologica, che anche Muschg ritiene la più importante, già compare nel 1896: lo stesso anno, giusto per intenderci, in cui per la prima volta Freud impiega il termine, composto e di nuovo conio, “psicoanalisi”.

41 E. Jones, Vita e opere di Sigmund Freud (1962-1964), op. cit., vol. I, p. 317.

42 E. S. Wolf, Saxa Loquuntur. Artistic Aspects of Freud’s “The Aetiology of Hysteria”, op. cit., p. 549.

43 Il discorso rischia di ampliarsi a dismisura. Infatti il forte nesso con il linguaggio parlato in qualche modo coinvolge l’intera comunicazione scientifica scritta di fine ‘800, che spesso fa uso di termini concreti decisamente comuni. Questo è vero perlomeno per la neurologia e l’istologia, ambiti in cui vedono la luce i primi lavori scientifici di Freud. In essi le descrizioni (non solo le sue) degli elementi nervosi parlano sovente di cilindri, di rami, rametti, tronchi, sfere ecc…. Sappiamo che questa abitudine alla parola comune non verrà persa da Freud nemmeno nei suoi scritti psicoanalitici, che pur contenendo, lo si è detto, parecchi neologismi, facilmente fanno ricorso a termini di uso quotidiano e aspecifico come “Lust” (“piacere”) e rifuggono da astrusi tecnicismi come “cathexis”, forzosamente introdotto nella terminologia psicoanalitica da Jones prima e da Strachey poi con la Standard Edition.
Jones, Glossary for the Use of Translators of Psycho-Analytical Works, Baillière, Tindall & Cox, Londra 1925, p. 6; J. Amati Mehler, S. Argentieri, J. Canestri, La Babele dell’inconscio. Lingua madre e lingue straniere nella dimensione psicoanalitica, op. cit., p. 312; D. G. Ornston, Improving Strachey’s Freud, op. cit., p. 14 e n. 16. D’altro lato, in questo linguaggio che pur essendo scritto ha ancora molto del pronunciato, si ritrova la traccia di un consapevole uso della retorica, tecnica oratoria da intendersi non come strumento di convincimento in qualche modo manipolatorio ma più classicamente come lecita modalità di dimostrazione delle proprie tesi. Cfr. R. R. Holt, On reading Freud, op. cit., p. 71; P. Marion, Le due dimensioni della trasmissione psicoanalitica: oralità e scrittura a confronto, in Rivista di psicoanalisi, 67(1) (2021), pp. 13-14).

44 J. Amati Mehler, S. Argentieri, J. Canestri, La Babele dell’inconscio. Lingua madre e lingue straniere nella dimensione psicoanalitica, op. cit., p. 312.

45 Ivi, pp. 304-305.

46 P. Marion, Le due dimensioni della trasmissione psicoanalitica: oralità e scrittura a confronto, op. cit.¸ passim.

47 Un esempio su tutti: il noto “Ice cream” / “I scream” di Wilfred Bion. Cfr. W. R. Bion, Attenzione e interpretazione, Armando Editore, Roma 1973, p. 23.

48 W. Muschg, Freud als Schriftsteller, op. cit., p. 470.

49, S. Freud, Massenpsychologie und Ich-Analyse, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Lipsia, Vienna, Zurigo, 1921, p. 99.

50 Id., Massenpsychologie und Ich-Analyse (1921), trad. it. Psicologia delle masse e analisi dell’Io, in Opere di Sigmund Freud, vol. IX, Boringhieri, Torino 1977, p. 309.

51 D. Anzieu, The Place of Germanic Language and Culture in Freud’s Discovery of Psychoanalysis between 1895 and 1900, op. cit., p. 219.

52 Elvio Fachinelli rende appunto con il verbo ricevere: “stiamo ricevendo”. Cfr. S. Freud, L’interpretazione dei sogni, op. cit., p. 108.

53 A. Holder, A Historical-Critical Edition, in D. G. Ornston (a cura di), op. cit., p. 93.

54 W. Muschg, Freud als Schriftsteller, op. cit., p. 473; S. Freud, Die Frage der Laienanalyse (1926), trad. it. La questione dell’analisi laica. Conversazioni con un imparziale, Milano, Udine 2012, p. 43.

55 A. Holder, A Historical-Critical Edition, op. cit., p. 92.

56 E, terza considerazione, suggeriscono che per uno studio davvero completo dello stile di Freud sia da prendere in considerazione anche la sua produzione extra analitica.

57 S. Freud, Beobachtungen über Gestaltung und feineren Bau der als Hoden bescriebenen Lappenorgane des Aals, in Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Mathematisch-Naturwissenschaftliche Classe, 75(1) (1877), p. 426.

58 Dello stesso articolo ho rinvenuto una traduzione francese, opera di Max Kohn. Chi volesse può raffrontare la mia traduzione con quest’ultima, che meno si cura di conservare gli idiotismi: ne risulta una prosa più scorrevole ma (a parte quelli che sono a mio parere certi fraintendimenti del testo di partenza, nel cui merito non entro in questa sede), molto più distante all’originale. Cfr. M Kohn, Observations de la conformation de l’organe lobé de l’anguille décrit comme glande gérminale mâle, in Traces de psychanalyse, Lambert-Lucas, Limoge 2007, p. 155.

59 Quello delle ripetizioni di termini è un tasto dolente forse più per l’editore, preoccupato di non perdere le simpatie del lettore, che per il traduttore, che con esse non ha in genere alcuna difficoltà di principio. Personalmente, io preferisco conservarle ogni volta che posso, proprio perché la totale padronanza che Freud ha della lingua, nonché l’evidenza della ricchezza del vocabolario tedesco mi convincono che, come affermano Jean Laplanche e collaboratori, laddove c’è ripetizione si tratta di ferma volontà dell’autore. Cfr. J. Laplanche, P. Cotet, A. Bourguignon, Translating Freud, op. cit., p. 145. Queste ripetizioni si trovano anche negli scritti psicoanalitici e sono tra le caratteristiche testuali che rischiamo più spesso di venire sottoposte a operazioni di preteso “abbellimento” in fase editoriale.

60 S. Freud, Über Spinalganglien und Rückenmark des Petromyzon, in Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Mathematisch-Naturwissenschaftliche Classe, 78(3) (1878), p. 107, corsivi miei.

61 Id., Über den Bau der Nervenzellen und Nervenfasern beim Flusskrebs, in Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Mathematisch-Naturwissenschaftliche Classe, 85(3) (1882), p. 12.

62 Id., Über Spinalganglien und Rückenmark des Petromyzon, op. cit., p. 117, corsivo mio.

63 Anonimo, Sitzung der mathematisch-naturwissenschafttlichen Classe vom 18. Juli, in Anzeiger der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Mathematisch-Naturwissenschafltiche Classe, 15 (1878), p. 163.

64 F. S. Merkel, Histologie, in Jahresbericht über die Leistungen und Fortschritte in der gesammten Medicin. Bericht für das Jahr 1879, 14 (1880), p. 47; R. Bardeleben, Systematische Anatomie, in Jahresberichte über die Fortschritte der Anatomie und Physiologie. Literatur 1879, 8 (1880), p. 233.

65 T. Ziehen, Nervensystem, Gustav Fischer, Jena, 1899, p. 28. Analizzando peraltro più nello specifico il passaggio di Ziehen si osserva che gli autori che cita prima di fare il nome di Sigmund Freud, in sequenza Alfred Wilhelm Volkmann, Friedrich Arnold, Robert Remak, Hubert von Luschka, sono esattamente quelli riportati nel lavoro sul Petromyzon, nella stessa sequenza, da Freud. Può darsi che Ziehen si sia limitato a prendere i vari dati direttamente dal saggio freudiano. In ogni caso, consultando i quattro autori, ho potuto constatare che nessuno di essi impiega l’aggettivo “anghelehnt” né a sé stante né associato a “Faser(n)”. Cfr. F. Arnold, Leherbuch der Physiologie des Menschen. Zweiter Theil. Zweite Abtheilung, Orell Füssli und Compagnie, Zurigo 1841, p. 903; H. Luschka, Der Nervus phrenicus des Menschen, H. Laupp,schen Buchhandlung, Tubinga, 1853, p. 15; R. Remak, Anatomische Beobachtungen über das Gehirn, das Rückenmark und die Nervenwurzeln, in Archive für Anatomie, Physiologie und wissenschaftliche Medicin, 1841, p. 520; A. W. Volkmann, Ueber die Faserung der Ruckenmarkes und des sumpatischen Nerven in Rana esculenta, in Archiv für Anatomie und Physiologie und wissenschaftliche Medicin, 1838, p. 291. Aggiungo che mi è riuscito di rintracciare un solo antecedente di questa denominazione, risalente al 1850. Cfr G. Valentin, Grundriss der Physiologie des Menschen, Friedrich Vieweg und Sohn, Braunschweig 1850, p. 210. Gabriel Gustav Valentin è autore noto a Freud, tuttavia va precisato che egli si riferisce alle “angelehnte Fasern” in ben altro contesto (lo studio dei vasi sanguigni capillari). Inoltre è occorrenza unica e che già nella successiva edizione del volume, quella del 1855, non compare più.

66 M. M. Lualdi, Sigmund Freud. Figlio della neurologia, padre della psicoanalisi, op. cit., pp. 81-82.

67 S. Freud, Zur Auffassung der Aphasien. Eine kritische Studie (1891), trad. it. L’interpretazione delle afasie, SugarCo Edizioni, Milano 1980, p. 144.

68 Id., Über den Bau der Nervenzellen und Nervenfasern beim Flusskrebs, p. 25, corsivo mio.

69 S. Freud, Über den Ursprung der hinteren Nervenwurzeln im Rückenmark von Ammocoetes (Petromyzon Planeri), in Sitzungsberichte der kaiserlichen Akademie der Wissenschaften. Mathematisch-Naturwissenschaftliche Classe, 75(3) (1877) p. 9.

70 Id., Über Spinalganglien und Rückenmark des Petromyzon, op. cit., p. 133.

71 S. Freud, Beobachtungen über Gestaltung und feineren Bau der als Hoden bescriebenen Lappenorgane des Aals, op. cit., p. 419.

72 Sarei curioso di sapere se questa struttura della frase, che ho colto nei primi lavori del giovane Freud, resti tipica o meno anche dello psicoanalista e scrittore più maturo.

73 Per questo, traducendo il volume (Freud, 1897), ho sempre cercato di conservare la complessità dei periodi scritti da Freud, anche a costo di offrire al lettore un testo in più punti macchinoso e poco scorrevole. Scelta opposta la perseguiva invece a fine anni ’60 del secolo scorso il traduttore americano, per questo felicemente salutato dalla critica. Cfr. M. M. Lualdi, Avvertenze e considerazioni sulla traduzione, in S. Freud, La paralisi cerebrale infantile, Youcanprint, Tricase 2020, p. 81. Anche in ciò mi trovo d’accordo con l’opinione espressa da Laplanche e collaboratori, che rimarcano l’importanza di conservare il più possibile la struttura dei periodi della pagina freudiana. Cfr. J. Laplanche, P. Cotet, A. Bourguignon, Translating Freud, op. cit., 145.

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