Le metaanalisi di Blum e Pohlen

Brano dall’introduzione a L’analisi di Freud di Manfred Pohlen (in corsivo il commento)

Il mondo è un tentativo e l’uomo deve farvi luce (Ernst Bloch)

Questo libro1 è l’ultimo contributo a un decennale discorso di chiarimento sulla psicanalisi;2 il discorso ora termina con il chiarimento della pratica di Freud che, in quanto esperienza fondante la concettualità psicanalitica da lui sviluppata, doveva necessariamente diventare un particolare oggetto di analisi.

“Chiarimento” o Aufklärung è lo stesso termine che in tedesco indica l’età dell’Illuminismo. Ma in questo caso la portata del termine è ben di più che un “illuminare” o “far luce” su un mistero. Si tratta precisamente della possibilità di fare della metaanalisi, cioè dell’analisi dell’analisi che qualunque collettivo psicanalitico può condurre sulla base dei documenti rarissimi, offerti da Pohlen: la trascrizione stenografica di 52 sedute con Freud. Non si tratta qui della solita produzione agiografica riguardante il rapporto maestro-allievo: in questo caso Freud con Blum, il primo in posizione up, il secondo down, il primo che sa, il secondo che si conforma al sapere magistrale. (Di queste testimonianze ne abbiamo a iosa. Segnalo tra le più interessanti il lavoro di Suzanne Gieser sul rapporto tra Pauli e Jung (cfr. S. Gieser, The Innermost Kernel. Depth Psychology and Quantum Physics. Pauli’s Dialogue with Jung, Springer, Berlin 2004). Il libro di Pohlen mostra come effettivamente avviene il lavoro analitico sul campo – “in clinica”, si usa dire con un termine medicale, a mio giudizio questa volta appropriato – con le pause e le riprese, le deviazioni e le correzioni, le congetture e le confutazioni, come in un vero e proprio lavoro scientifico senza maestri e solo con allievi. Con il piccolo particolare che uno degli scienziati all’opera è in questo caso Freud. Ciò ne fa un singolare “caso clinico”.

Il termine Aufklärung (chiarimento, spiegazione, illuminismo) è assolutamente centrale. In questo passo, lo troviamo ancora nella sua accezione analitica di spiegazione, chiarimento, sostanzialmente complementare al termine Deutung (interpretazione), come se si potesse definire l’analisi nei termini di portare luce su qualcosa di oscuro. Questa concezione, propugnata per decenni da Freud, ha favorito la svilupparsi di una ricezione della psicanalisi come autochiarificazione esistenziale, facendo passare in secondo piano l’oggetto della scienza analitica, l’inconscio, e la natura prettamente costruttivistica del lavoro analitico.3

Non è un caso se pubblico i verbali e le annotazioni dell’analisi di Ernst Blum con Freud alla stessa età che Blum aveva quando mi consegnò la documentazione. Questa pubblicazione, dopo un periodo di latenza di più di trent’anni dalla consegna, negli anni Settanta, potrebbe indurre il lettore a chiedersi perché proprio adesso.4 Dovetti realizzare che, consegnandomi i verbali delle sedute e le annotazioni sulla sua analisi con Freud, Blum mi affidava l’incarico di offrire, con la loro pubblicazione differita e tardiva, un risarcimento per la sua fuga di fronte alle aspettative e alle pretese di Freud e della psicanalisi.5

In questo esordio si coglie lo stile autenticamente analitico di Pohlen, il quale ci propone una doppia analisi: la prima è quella dell’atto di Blum che gli consegna i verbali; la seconda è quella dell’atto della loro pubblicazione da parte dello stesso Pohlen, un atto alquanto sgradito per l’establishment psicanalitico che vedeva messi in questione la propria ortodossia e i propri ritualismi.6 Questa doppia analisi è una metaanalisi, cioè l’analisi che di se stessa fa l’analisi, che tratteggia un vincolo transferale Freud – Blum – Pohlen.

Questo legato significava per Blum la tardiva giustificazione del silenzio di una vita, dovendo io ora estinguere con questa pubblicazione l’ipoteca nei confronti di Freud, girata a me. Infatti, Blum aveva rifiutato l’incarico freudiano di adempiere la legge di Freud in qualità di “inviato ebreo” nella psicanalisi svizzera, guadagnando così per sé un posto nella psicanalisi. Pubblicando i verbali originali delle sedute e i relativi commenti, ora Ernst Blum si fa un nome e può tentare di estinguere il debito con Freud.7

In questo passo emerge il problematico legame sociale vigente nel gruppo freudiano, dove comandava un capo indiscusso, autore della legge, e tutti gli altri dovevano obbedire; chi non si conformava – Adler e Jung in primis – poteva andarsene, bollato come eretico. Si trattava insomma della struttura dell’orda primitiva, l’unica struttura sociale riconosciuta da Freud e teorizzata in Totem e Tabù (1912, cap. IV, dove viene presentato il falso riferimento a Darwin) e Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921, cap. X). La questione esegetica che si pone è quale possa mai essere il rapporto delle varie mitologie freudiane – dall’Edipo all’orda primitiva, passando per la metapsicologia pulsionale (“La dottrina delle pulsioni è per così dire la nostra mitologia, Lezione XXXII del 1933”) – con la struttura epistemica dello “psichicamente inconscio”, inteso come sapere che non si sa di sapere.

La pubblicazione di questi documenti unici ci permette per la prima volta di gettare uno sguardo sull’attività di Freud e ci fa comprendere sulla base di quali esperienze egli giungesse ai propri concetti e l’analizzando8 alla comprensione della propria storia. Dobbiamo essere immensamente grati a Ernst Blum per avermi affidato l’analisi della storia della sua vita, studiando la quale possiamo conoscere autenticamente il modo di lavorare di Freud; gli dobbiamo anche un profondo rispetto perché ci consente di partecipare a tutti i lati chiari e scuri della sua storia insieme al suo decorso fatale, un destino che ci mette chiaramente sotto gli occhi i limiti dell’attività di Freud, che sono anche i limiti dell’influenza della psicanalisi sulla sorte di un uomo.9

La documentazione di Pohlen ci mette a disposizione un caso clinico straordinario, alla frontiera tra analisi personale e autoanalisi. Si tratta infatti di un caso clinico costruito dall’analizzante stesso e che ci viene consegnato come il risultato di un processo di scrittura che avviene nachträglich, nella propria autoanalisi. Nel gioco significante tra begrefein (comprendere), Begriffen (concetti) e Begreifen (comprensione), Pohlen sembra accennare alla circolazione del sapere tra analista, analizzante e noi che lo leggiamo, una circolazione che avviene dentro e fuori la seduta.

Questo processo tra Freud, Blum e me non si può intendere come delega cosciente di incarichi, ma come scambio inconscio all’interno di un transfert vincolante. Quindi non è un caso che questa pubblicazione avvenga a un’età che, dopo una vita di esperienza scientifica e clinica con e attraverso la psicanalisi e un decennale confronto con Freud, mi ha oggi portato a una visione di Freud che, al di là di tutte le necessarie decostruzioni, tenta di rendere giustizia al suo pensiero.10

Stiamo giungendo al nucleo della metaanalisi di Pohlen. “Essere giusti con Freud”, come raccomandava Michel Foucault e come ribadiva Jacques Derrida, non può essere un’impresa individuale (come tale non riuscì neppure a Foucault). Può rendere a giustizia a Freud solo un nuovo collettivo di pensiero, non più organizzato come orda primitiva che propugna una qualche ortodossia. L’autentica trasmissione della psicanalisi, che sta a cuore ai grandi epigoni di Freud, non avviene indottrinando i singoli attraverso le pratiche di rito (analisi personale, analisi didattica, seminari), ma istituendo nuovi legami sociali, non più basati sull’identificazione con il maestro. La sterilità teorica delle scuole psicanalitiche dopo Freud e dopo Lacan ha una ragione analitica: il fatto di aver da sempre vissuto, senza riuscire a metterlo a tema, il transfert collettivo sotto il segno dell’ipnotismo narcotizzante del leader-maître. In questo senso, queste scuole pagano anche un altro limite della riflessione freudiana: Freud ha escluso la dimensione collettiva e politica dal pensiero metapsicologico relativo al transfert, riducendolo troppo spesso a meditazione individuale sul padre originario relegato nel passato.

Il mio rapporto con l’anziano Blum di allora si basava su un transfert del mio spirito critico e oppositivo di giovane scienziato che a quei tempi combatteva contro la sterilità e lo spirito asettico di una psicanalisi pietrificata. Il clima dell’opinione pubblica degli anni Sessanta e Settanta era peraltro caratterizzato da una ricezione scientifica e filosofica della psicanalisi freudiana di cui ci si serviva solamente per promuovere la moda, oggi dominante, dell’autochiarificazione razionalistica;11 al tempo stesso, tale ricezione versava nel più completo fraintendimento della logica della psicanalisi, la logica dell’inconscio. Nessuno di questi “illuministi” ha mai abbandonato la logica della propria disciplina né soprattutto ha mai tentato di avventurarsi sul terreno incerto della psicanalisi, mettendo in dubbio la propria integrità filosofica o sociologica, facendo entrare nel discorso il vero e proprio oggetto specifico della psicanalisi, l’inconscio. Di fatto si procedeva come se la psicanalisi fosse una teoria dell’emancipazione, tra altre teorie illuministiche ad essa paragonabili, riproponendosi dal suo uso solo la corroborazione della propria presunzione di validità.12

Pohlen mette ben in evidenza la natura non illuministica della psicanalisi freudiana, un tema peraltro sviluppato con ampiezza anche da Eli Zaretsky.13 Gli “illuministi” di cui parla Pohlen non hanno affrontato il cammino epistemico che porta dalla incertezza del dubbio alla certezza del cogito; la lezione cartesiana e freudiana non ha fatto presa su di loro, ma è stata rigettata. Il loro è un illuminismo oscurantista che, per non elaborare il lutto ontologico – la morte del dio padre e delle certezze che ne derivano – rigetta il cammino che, passando attraverso l’incertezza del dubbio cartesiano, porterebbe alla sua elaborazione definitiva. L’elaborazione parziale, invece, lascia il soggetto nell’assetto ontologico dell’episteme antica, dove è ma senza sapere, essendosi impedito di arrivare a costruire quel poco di sapere grazie al quale sarà anche un soggetto morale (assetto epistemico della scienza moderna). Per questi “illuministi” è meglio un sapere certo e stabile perché ontologico e inconfutabile, ma senza oggetto, che un sapere provvisorio e metastabile perché epistemico e confutabile, ma con oggetto. Il fatto è che la congettura epistemica è faticosa; contorna degli oggetti provvisori, perché esposti alle pratiche epistemiche, inevitabilmente confutatorie, di altri soggetti della scienza.

All’inquietudine politico-sociale e all’atmosfera di cambiamento degli anni Sessanta e Settanta seguì paradossalmente la completa accademizzazione della psicanalisi, i cui rappresentanti venivano ora chiamati alle cattedre di nuova istituzione, non avendo in mente niente di meglio che medicalizzare e psichiatrizzare la psicanalisi, deprivandola di ogni impeto sovversivo.14 L’accademizzazione successiva ai “tempi movimentati” di quegli anni portò al rivolgimento dell’opinione pubblica nei confronti della psicanalisi, che oggi si vorrebbe fare in modo che nulla fosse avvenuto e si potesse portar avanti, in perfetta tranquillità d’animo, il buon vecchio discorso dell’illuminismo razionalistico dei tempi di Kant e si potesse ripristinare l’autorità della coscienza e dell’Io cartesiano, senza pensarci più di tanto.15

La cura analitica è una cura epistemica, si occupa di come il soggetto sa; viceversa la cura medico-accademico-psichiatrica è cura ontologica di ciò che interessa al padrone: è cura di ciò che è, cura restitutiva dello status ontologico precedente l’evento morboso. La cura analitica – nei suoi esiti migliori – non restituisce la sostanza ontologica precedente, ma istituisce nuove formazioni dell’inconscio, precedentemente sconosciute. L’accademizzazione della psicanalisi è funzionale al potere, che attraverso di essa ne controlla il potenziale eversivo. Lo strumento che il potere preferibilmente usa per ingabbiare e sterilizzare la psicanalisi è la medicalizzazione; in quanto cura dell’essere che è e rischia di non essere più, la medicina erige un baluardo ontologico difficilmente smantellabile contro la cura del sapere offerta dalla psicanalisi. Il fatto singolare della politica della psicanalisi è che la medicalizzazione non è avvenuta e continua a non avvenire attraverso l’Università, ma avviene attraverso istituzioni parauniversitarie, riconosciute dallo Stato, le cosiddette scuole di psicoterapia; esse forniscono agli operatori “psi” una vera e propria preparazione criptomedica, che funziona come mentalità medica a tutti gli effetti, anche e soprattutto quando i singoli operatori entrano in concorrenza professionale con i medici propriamente detti. Infatti, si verifica il caso paradossale che al valore della psicoterapia siano attaccati più i non medici dei medici. Il “vero” medico sa che la cura psicologica è una cura di serie B, un palliativo.

Alla fine di questo processo di svuotamento, in cui la psicanalisi accademica sembra essere finita in una forma di applicazione terapeutica sterile e asettica, è giunto il momento di farci carico del ritorno di Freud,16 cioè del suo spirito analitico. Infatti, la psicanalisi accademica ha annacquato e banalizzato tutto ciò che in generale poteva suscitare scandalo sociale; così è stato per la “volatilizzazione del sessuale”17 e per la presa di distanza dalla dottrina psicanalitica delle pulsioni, avvenuta praticamente senza resistenze. All’interno del proprio edificio dottrinario, la psicanalisi istituzionalizzata si attiene sempre più al cerimoniale rituale tradizionale e, grazie alla preminenza del formale, può sviare rispetto al fatto che i nuovi sviluppi teorici postfreudiani hanno fondamentalmente provocato l’appiattimento e il sostanziale svuotamento del pensiero psicanalitico e, una volta ridotto a strumento di chiarificazione, gli hanno tolto la terra da sotto i piedi.18

La medicalizzazione della psicanalisi, la sua riduzione a psicoterapia nelle forme di un rito codificato, non è solo il portato della politica imposta dalla frangia americana dell’IPV, ora IPA. È anche il vizio di origine del pensiero freudiano che ha concepito se stesso esclusivamente come approfondimento individuale della vita psichica alle radici dell’inconscio. La contestazione di Jung e la sua riproposizione della dimensione collettiva dell’inconscio, in dialettica con il momento dell’individuazione, fu una correzione salutare apportata al freudismo.

La causa decisiva dello smarrimento del pensiero psicanalitico sembra risiedere nell’oblio dei concetti freudiani fondamentali. Persa l’autorità freudiana, non c’è più metro di riferimento, non c’è più orientamento per la trasmissione di ciò che la psicanalisi – nella sua essenza – è; non c’è più criterio per differenziare e distinguere ciò che merita di essere adottato o invece scartato. La circostanza di dover vivere senza la legge freudiana, cioè senza la categoria di giudizio su ciò che ha o non ha valore immanente per lo sviluppo del pensiero psicanalitico, ha portato al fenomeno per cui degli aspetti parziali sono stati trasformati in concettualizzazioni arbitrarie attraverso generalizzazioni totalizzanti. Questo in psicanalisi è un fenomeno degno di nota, inimmaginabile in altre scienze, ad esempio nelle scienze naturali; sarebbe come dimenticare le leggi della meccanica di Newton o la legge di caduta dei gravi di Galilei e come se ogni epigono di questi grandi fisici credesse di poter reinventare la fisica; lo stesso vale per la teoria della relatività di Einstein o per la teoria sociale di Marx.19

Questa mancata trasmissione, questa incapacità di farsi carico del lascito freudiano, si può spiegare più chiaramente con il fatto che Freud stesso solo tardivamente prese coscienza dell’abbaglio che gli fece confondere la scienza analitica con la sua applicazione terapeutica di tipo medico.20 Questo immenso ritardo ha avuto chiare implicazioni anche sulla struttura del collettivo analitico, che aveva poco a che spartire con un autentico collettivo scientifico. Più che fare riferimento ad una generica legge freudiana, va poi ricordato che Freud aveva ben chiaro il criterio per distinguere cosa accettare e cosa buttare fuori da una teoria scientifica: il principio di fecondità.21

Secondo la corrente dottrina positivistica del progresso, ciò che precede appare sempre obsoleto e superato mentre l’attuale vale come il progresso definitivo. Ma, non valendo più come metro di riferimento il pensiero freudiano, in psicanalisi non esiste più nessuna legge grazie alla quale si possa prendere posizione critica nei confronti dei cosiddetti nuovi sviluppi della psicanalisi. La sciagura del movimento analitico sta proprio qui: non ha trasmesso il pensiero di Freud come metro di valutazione del pensiero psicanalitico, ma ha unicamente ritualizzato la forma dell’applicazione psicanalitica, la cosiddetta situazione analitica, e l’ha codificata come legge. Così, attraverso questa falsa trasmissione, si è riusciti a razionalizzare comodamente l’oblio del pensiero freudiano. Ciò ha avuto conseguenze devastanti sul livello intellettuale della scienza psicanalitica. Lungo tutta la tradizione psicanalitica, il posto vuoto di Freud poté essere usurpato da epigoni, capi di sette di sempre “nuovi sviluppi”, che in rapida successione rappresentavano, con l’arbitrarietà della loro offerta, modelli alla moda: una volta era la psicologia dell’Io, un’altra volta era la psicologia del Sé e la teoria delle relazioni oggettuali; una volta erano le teorie della simbiosi e un’altra volta ancora era la teoria della scissione e dell’attaccamento e, non da ultima, la teoria dei disturbi precoci e così via.22

Il paradosso della pluralità delle dottrine psicanalitiche, ciascuna giustificata nel proprio ambito, ma ognuna inconfrontabile con l’altra, è il sintomo della patologia “congenita” del movimento analitico. Ogni dottrina si può solo confermare, non confutare. Quindi ogni dottrina è destinata a sopravvivere nel proprio collettivo, distinto dal collettivo di origine da cui si è scisso. I collettivi psicanalitici, infatti, si generano per scissioni successive, diventando sempre più piccoli, come le rispettive dottrine diventano sempre più particolari e ristrette.

Sia dal punto di vista scientifico sia clinico, l’autobiografia della psicanalisi si è salvata grazie alla mancanza di criteri che fossero vincolanti caso per caso. In questi gruppi atteggiati in modo tanto settario, i “facenti funzione di capo” si comportano come se avessero aiutato la psicanalisi a raggiungere tale progresso di conoscenze, come se loro l’avessero reinventata; invece ogni volta si tratta sempre dell’ultimo grido alla moda. Non ci si può sottrarre all’impressione che questi epigoni di Freud non riescano a perdonarsi di non essere Freud e che non riescano a dimenticare che Freud sia stato il creatore della psicanalisi. Come, secondo Lacan,23 dio non è morto, ma solo rimosso e diventato inconscio, così anche Freud non è superato o morto, ma rimosso e diventato inconscio. Per legittimare la propria influenza come “innovatori”, che certamente regge solo grazie alla mancanza di un’autorità, gli usurpatori di Freud hanno, proprio con quella rimozione, sospeso la validità della legge della tradizione che si basa su di lui.24

L’innovazione in psicanalisi non deve essere posta sulle basi della personalità del singolo innovatore, ma sulle basi della dialettica di congettura/confutazione che dovrebbe animare, secondo una determinante democratica, la vita di ogni collettivo di pensiero psicanalitico.

La Renaissance della psicanalisi si manifesterà con la ripresa degli elementi dimenticati del pensiero freudiano, in quanto fondamento dell’esperienza psicanalitica; allora la scienza psicanalitica tornerà a vivere. Il ricordo dell’obliata autorità legislativa di Freud, che la tradizione psicanalitica ristabilirà secondo le leggi da lui scoperte, verrà reso distinto, in modo esemplare, nell’analisi di Blum.25

C’è da recuperare un pensiero freudiano “autentico”, al di là di certe formulazioni tipicamente medicali adottate da Freud per trasmettere le proprie intuizioni (vedi gran parte delle formulazioni metapsicologiche in termini pulsionali e in generale la sua “mitologia”). Tra gli epigoni di Freud chi ha più di altri insistito sulla demedicalizzazione della psicanalisi, al prezzo di avvicinarla troppo a una filosofia di stampo fenomenologico, fu Lacan. In questo senso la lunga elaborazione da parte di Bion della propria griglia fu un esempio di affrancamento dal discorso medicale, solo alla fine coronato da successo.

Traduzione: Antonello Sciacchitano

Revisione della traduzione: Davide Radice

Commento: Antonello Sciacchitano, Renato Moglia, Davide Radice

Cura editoriale: Davide Radice

 

Note

1 Manfred Pohlen, Freuds Analyse. Die Sitzungsprotokolle Ernst Blums [L’analisi di Freud. I verbali delle sedute di Ernst Blum con Freud nel 1922], Prefazione all’edizione tedesca. Rowohlt Verlag, Berlin 2006, p. 9.

2 Si tratta del quarto contributo di Pohlen dopo Eine andere Aufklärung. Das Freudsche Subjekt in der Analyse (1991), un discorso sulla psicanalisi freudiana come chiarificazione dell’altro dalla ragione; Psychoanalyse. Das Ende einer Deutungsmacht (1995), uno studio sistematico sul carattere scientifico, la posizione sociale e le applicazioni terapeutiche della psicanalisi; Eine andere Psychodynamik. Psychotherapie als Programme zur Selbstbemächtigung des Subjekts (2001), un discorso sulla teoria della prassi psicoanalitica fondata clinicamente e scientificamente e sulle sue applicazioni.

3 “Se nelle esposizioni della tecnica analitica si sente parlare così poco di ‘costruzioni’, la ragione è che al loro posto si parla di ‘interpretazioni’ e dei loro effetti. Ma ritengo che ‘costruzione’ sia la definizione di gran lunga più appropriata”. Cfr. S. Freud, Konstruktionen in der Analyse (1937), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XVI, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 48, trad. S. Freud “Costruzioni in analisi”(1937), in Opere di Sigmund Freud, vol. XI, Boringhieri, Torino 1979, pp. 544-545 (traduzione modificata).

4 Ernst Blum (1892 -1981), fra il mese di marzo e il mese di giugno del 1922, si sottopone ad un’analisi con Sigmund Freud. Manfred Pohlen (nato nel 1930), riceve questo testo da Blum nel 1961 e lo pubblica nel 2006. C’è quindi un doppio intreccio, non uno solo: a circa 30 anni Blum fa l’analisi con Freud e a circa 30 anni Pohlen riceve i verbali dal settantenne Blum; quando Pohlen ha più di 70 anni, decide di pubblicare questo staordinario documento.

5 Ibidem.

6 Cfr. F. Lolli, Gli appunti di cinquantasei sedute del 1922, il manifesto, 9 ottobre 2009, p. 12.

7 M. Pohlen, op. cit., p. 9.

8 Analysand, termine probabilmente proposto per la prima volta da Ferenczi, famoso enfant terrible della psicanalisi freudiana, che tuttavia non divenne mai eretico.

9 Ivi, p. 10.

10 Ibidem.

11 Il riferimento implicito è all’autochiarificazione esistenziale di cui parla Karl Jaspers, acerrimo avversario della psicanalisi. Cfr. K. Jaspers, “Essenza e critica della psicoterapia” (1954), in Id., Il medico nell’età della tecnica, trad. Mauro Nobile, Cortina, Milano 1991, pp. 89 e 135 sgg.

12 M. Pohlen, op. cit., pp. 9-10.

13 E. Zaretsky, I segreti dell’anima. Una storia sociale e culturale della psicoanalisi (2004), trad. A. Bottini, Feltrinelli 2006. Cfr. in particolare la Prima Parte.

14 Freud usò un’espressione molto forte per indicare la denaturazione della psicanalisi in psicoterapia, che le fa perdere tutto il suo carattere di critica dell’esistente: “togliere il dente velenifero”. Cfr. S. Freud, XXXIV – Aufklärungen, Anwendungen, Orientierungen, in Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse (1932), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XV, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 164-165, trad. it. Lezione XXXIV – Schiarimenti, applicazioni, orientamenti, in Introduzione alla psicoanalisi. Nuova serie di lezioni (1932), in Opere di Sigmund Freud, vol. XI, Boringhieri, Torino 1979, p. 257 (traduzione modificata). Anche Lacan si esprime in termini molto precisi: cfr. per esempio J. Lacan, Variantes de la cure type (1955), in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 324, dove Lacan pone la differenza tra psicoterapia e psicanalisi nel rigore etico, che mancherebbe alla prima rispetto alla seconda, anche quando fosse rimpinzata di conoscenze psicanalitiche.

15 M. Pohlen, cit., p. 10; J. Derrida, Résistances de la psychanalyse, Galilée, Paris 1996, pp. 11-53. Conferenza tenuta alla Sorbonne durante il Colloquio francoperuviano, organizzato dal Collegio Internazionale di Filosofia, dalle Università di Strasbourg ii e di Toulouse le Mirail, dal 30 ottobre al 6 novembre 1991 su La notion d’analyse. La si può consultare presso l’archivio della rivista di filosofia “aut aut”.

16 Questa è un’importante precisazione su cui riflettere: “ritorno di Freud”, non “ritorno a Freud”; i soggetti sono diversi.

17 P. Parin, Warum die Psychoanalytiker so ungern zu brennenden Zeitproblemen Stellung nehmen. Eine ethnologische Betrachtung, in Psyche, 32 (1978), pp. 385-399.

18 M. Pohlen, op. cit., p. 11.

19 Ivi, p. 12.

20 “Per ragioni pratiche, anche nelle nostre pubblicazioni, abbiamo preso l’abitudine di distinguere l’analisi medica dalle applicazioni dell’analisi. Questo non è corretto. In realtà la linea di demarcazione fra la psicanalisi scientifica e le sue applicazioni attraversasia il campo medico sia quello non medico.” Cfr. S. Freud, Die Frage der Laienanalyse (1926-1927), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XIV, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 295, trad. it. La questione dell’analisi laica, trad. A. Sciacchitano e D. Radice, Mimesis, Milano 2012, p. 116.

21 “Il valore di tale “finzione” – così la chiamerebbe il filosofo Vaihinger – dipende da quantocon essa si può conseguire.” Cfr. S. Freud, Die Frage der Laienanalyse, op. cit., p. 221, trad. it. La questione dell’analisi laica, cit., p. 37.

22 Ivi, p. 13.

23 J. Lacan, Le Séminaire. Livre xi. Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse (1964), Seuil, Paris 1973, p. 58.

24 M. Pohlen, op. cit., p. 13.

25 Ibidem.

 

Di Davide Radice

Consulente strategico, psicanalista e appassionato traduttore di Freud.

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