Se volessi diventare astrologo…

… andrei da un astrologo già affermato, possibilmente il più rinomato sulla piazza, perché mi insegni a interpretare le configurazioni astrologiche; da lui imparerei a correlare i passaggi attuali dei pianeti nelle loro case con l’assetto planetario che ha presieduto alla nascita di chi mi chiede l’oroscopo, giustificando così previsioni future. Studierei codici antichi e moderni, sempre lasciando l’ultima parola al maestro di cui sono allievo. Poi diventerei un professionista, vendendo strologherie a giornali e a privati. Il popolo ama essere ingannato e lo ingannerei prontamente con lo stesso fervore con cui mi sono lasciato ingannare io stesso. L’ignoranza astrologica – un’antica e nobile ignoranza, risalente ai sacerdoti sumeri – verrebbe garantita al cento per cento: prima di diventare astrologo non sapevo che Giove avesse dei satelliti – le lune medicee, scoperte da Galilei – e continuerei a non saperlo da astrologo ben formato.

Isaac Cordal - Follow the leader
Isaac Cordal – Follow the Leader
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Diversamente andrebbero le cose se volessi diventare astronomo. Innanzitutto, sarebbe largamente indifferente la mia preparazione di base; potrei essere matematico, fisico, chimico, geologo, addirittura biologo. In secondo luogo non troverei maestri, cui riferirmi, ma collettivi di ricerca astronomica: dagli Appennini (Laboratorio Nazionale del Gran Sasso) alle Ande (Centro telescopico di Atacama). La formazione dell’astronomo non segue un iter prefissato. La cultura di base che mi è richiesta è quella fisico-matematica, che qualunque università può dare; la mia specializzazione consiste nell’imparare a usare delle apparecchiature avanzate: dai telescopi terrestri e satellitari agli spettroscopi alle diverse lunghezze d’onda. Poi comincerei a lavorare al tema di ricerca del collettivo in cui mi sono inserito: dagli esopianeti ai lampi di raggi gamma e pubblicherei i risultati su giornali specializzati, esponendomi alle confutazioni del collettivo di pensiero astronomico.

La carriera dello psicanalista assomiglia più a quella dell’astrologo o dell’astronomo?

Ci sono pochi dubbi. Formalmente e materialmente psicanalista e astrologo sono figure professionali sovrapponibili: entrambi vendono prognosi e cure; ti dicono: sei stato questo e quest’altro a causa di certe configurazioni astrologiche o parentali; diventerai così e cosà; se seguirai i miei consigli o farai il mio iter terapeutico potrai migliorare la tua posizione al mondo. Della serie: “Se bevi il mio yogurt, puoi abbassare il tuo colesterolo”. Anche l’iter formativo dei rispettivi professionisti presenta inquietanti analogie astropsicologiche, nel nome della conservazione del sapere da trasmettere. Freud fu un ferreo custode dell’ortodossia psicanalitica; ne aveva tutto il diritto, avendo inventato la psicanalisi. Ma non si rese conto della trappola che andava costruendo con le proprie mani, riducendo la psicanalisi ad astrologia o a lettura della mano. Lo si scusa dicendo che si adeguava al positivismo dell’epoca, una forma di pensiero rigidamente determinista, ma è una sciocchezza storica. Freud era determinista come tutti i medici, pur vivendo all’epoca della meccanica quantistica (su cui non era informato), che è fondamentalmente indeterministica.

Ecco alcune conseguenze dell’ortodossia freudiana. Formalmente lo psicanalista in fieri chiede la propria formazione a una scuola di un ben preciso indirizzo. La psicanalisi non è una scienza. Pullula di maestri che insegnano le più disparate verità, ognuno la propria, ormai depositata in una scuola ben caratterizzata: freudiana, junghiana, lacaniana ecc. Il giovane segue un iter di conformazione al termine del quale non sarà più giovane, ma sarà stato addestrato ad applicare alla cura dei casi clinici la dottrina che gli è stata inculcata. Durante la sua attività professionale non avrà mai modo di mettere in discussione l’insegnamento ricevuto. Forse è diventato addirittura “didatta”, addetto a trasferire ad altri gli stessi pregiudizi che altri hanno trasferito su di lui. Dopo Galileo Galilei e Giovanni Keplero si è mai visto un astrologo diventare astronomo? (Galilei e Keplero vendevano oroscopi per sopravvivere, come gli psicanalisti che fanno gli psicoterapeuti per sbarcare il lunario).

Materialmente, la formazione psicanalitica consiste nell’acquisizione di pregiudizi. I pregiudizi alla base della formazione psicanalitica sono delle mitologie. Ha cominciato Sigmund Freud vendendo sul mercato della cura la mitologia dell’Edipo, riveduta e corretta in chiave nevrotica; ha proseguito Carl Gustav Jung, convocando mitologie orientali accanto a quelle greche; oggi gli ultimi e i penultimi lacaniani vendono almanacchi che strologano sulla funzione del padre. Mitologie e astrologie sono narrazioni che raccontano verità indimostrabili e/o inconfutabili. Tecnicamente sono verità indecidibili. Stanno in piedi unicamente sull’autorità di chi le insegna. Il loro potere è quello ipnotico del rito che istituiscono: tre sedute alla settimana di psicoterapia per vent’anni, nel caso della psicanalisi. Poi, se non sei guarito, sei stato convinto di essere malato.

È possibile che uno psicanalista diventi astronomo della psiche da astrologo dell’anima, quale ha imparato a essere?

È molto difficile. La psicanalisi si è sviluppata e affermata come cura medica dell’anima. L’imprinting medico l’ha marchiata dall’origine; è inutile che gli psicanalisti si ribellino alla tirannia della diagnosi, magari codificata in qualche DSM; l’orientamento medicale resta indelebilmente impresso nella prognosi e nella cura psicanalitica, comunemente intesa nel senso di qualunque cura medica come ripristino dello stato presintomatologico. Allora si sente dire che le nevrosi di carattere non si curano e che per i borderline bisogna integrare la psicoterapia con gli psicofarmaci. La situazione è chiara: la medicina non è scienza, essendo inconfutabile; la psicanalisi, in particolare quella freudiana, non è scienza, e non diventerà mai scienza, essendo originariamente medica.

C’è qualche speranza?

La via d’uscita che intravedo è la creazione di collettivi di metaanalisi, cioè collettivi di pensiero, su basi paritarie e democratiche, dove insieme ad altri ognuno analizzi la propria esperienza di analisi, fatta come esperienza individuale nel setting freudiano, e formuli congetture su possibili analisi future, meno astrologiche di quelle passate. La difficoltà è tutta pratica. All’analisi, insegnava Freud, si resiste. Questa è una verità di fatto. Un’analisi si intraprende con la scusa della cura. Se questa scusa viene meno, chi e con quale coraggio vorrà intraprendere il difficile percorso analitico?

Già, per diventare psicanalista – un astronomo della psiche – ci vuole coraggio. Ci vuole coraggio morale, insegnava il mio maestro Jacques Lacan (si rilegga nei suoi Ecrits le Varianti della cura-tipo del 1955, debitamente censurate nell’edizione economica). Senza etica si rimane psicoterapeuti, cioè astrologi. Ma l’etica, come il coraggio – insegnava don Abbondio – uno non se la può dare. L’etica è un rischio collettivo. Come l’astronomia.

Qui andrebbe aperto un discorso serio che esula dall’approccio ironico di questo scrittarello. In epoca scientifica la posizione etica del soggetto della scienza non è più quella prescientifica. Il soggetto della scienza non si conforma né a etiche calcolistiche, come quella aristotelica, la cui virtù risulta dal calcolo del giusto mezzo tra due vizi estremi, né a etiche categoriche, come quella kantiana, che presume di escogitare legislazioni universali. L’etica della scienza è par provision, insegnava Cartesio. Qualunque morale va bene, purché la si segua fino all’ultima delle sue conseguenze, come qualunque congettura scientifica. Poi, se non va bene, la si cambia. È un’etica a posteriori, essendo inteso che paghi il dazio anche per le conseguenze che non avevi previsto. Se è vero che esiste l’inconscio freudiano, sei responsabile anche di quello che non sapevi.

Vai a dirlo all’astrologo che presume di prevedere tutto.

 

Di Antonello Sciacchitano

Nato a San Pellegrino il 24 giugno 1940. Medico e psichiatra, lavora a Milano come psicanalista di formazione lacaniana; riceve domande d'analisi in via Passo di Fargorida, 6, tel. 02.5691223: E' redattore della rivista di cultura e filosofia "aut aut", fondata da Enzo Paci nel 1951.

1 commento

  1. Ad integrazione: Nietzsche e il maestro soccorrevole

    “Negli uomini soccorrevoli e benevoli si riscontra quasi sempre la goffa astuzia di adattare ai propri desideri l’individuo che si deve soccorrere; col chiedersi, per esempio, se egli « meriti il loro soccorso, se proprio da loro debba attendersi un soccorso, se, per il soccorso ottenuto saprà mostrarsi riconoscente, affezionato, sottomesso ». — Con simili fantasie essi predispongono di chi ha bisogno come di una cosa che si possiede, come in fondo appunto la brama del possesso li rende soccorrevoli e benefici. Si mostrano gelosi, quanto nel fare il bene temono di esser prevenuti da un altro. I genitori involontariamente tendono a formare i figli a loro immagine e chiamano ciò « educazione » ; – nessuna madre dubita in fondo al suo cuore, che l’essere da lei partorito non le appartenga, nessun padre si lascia togliere il diritto di assoggettarlo ai suoi concetti et alle sue valutazioni. Si, ci fu persino un tempo, in cui ai genitori sembrava più che giusto di disporre a loro beneplacito della vita e della morte dei neonati (come presso gli antichi Germani). E come il padre, anche il maestro, la casta, il prete, il principe scorgono in ogni uomo che sorge una nuova occasione di naturale possesso.”

    Friedrich Nietzsche, “Al di là del bene e del male”

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