Recensione di Ernest Jones a “La questione dell’analisi laica”

Ci promette delle analisi low-cost, brevi, anche su Skype. Parla da ortopedico della psicanalisi, l’ultimo presidente IPA, l’italiano Antonino Ferro. L’annuncio non è nuovo. Un suo predecessore, di cui leggiamo la recensione a Freud, si augurava una psicanalisi dove i medici prevalessero sui non medici. La profezia si è abbondantemente avverata: la psicanalisi popolar-populista, oggi anche informatizzata, è diventata a tutti gli effetti medica, rimanendo in mano ai medici.

Insomma, Freud perse la personale battaglia contro i medici, da lui ingaggiata a difesa degli psicanalisti non medici. Fece un buco nell’acqua, come lui stesso ammise. La responsabilità fu tutta sua – bisogna riconoscerlo – per essersi incaponito nell’adozione di una strategia autocontraddittoria e destinata sin dall’inizio a perdere: proclamare la psicanalisi una “scienza medica” e contemporaneamente contestare ai medici il diritto di esercitarla senza aver fatto gli “esercizi” previsti da Freud (esercizi diligentemente svolti dai non medici). La lettura del seguente documento fornisce una chiave di lettura di una pagina infelice del movimento psicanalitico, che segnò la definitiva medicalizzazione della psicanalisi, contro la volontà del suo creatore, il quale riservava ai suddetti medici l’appellativo poco carino di “selvaggi”.

Particolare storico curioso: i primi eretici della psicanalisi, gli Jung e gli Adler, dovettero uscire dall’associazione psicanalitica freudiana e fondare le proprie congregazioni. Oggi essere freudiani ortodossi significa essere eretici rispetto a Freud, ma non più “selvaggi”, anzi restando comodamente insediati nell’associazione freudiana ufficiale come “civilizzati”; (il termine tecnico è “formati”, cioè addestrati all’esercizio della psicanalisi). La storia – insegnava un grande filosofo tedesco – esercita le proprie astuzie. Wozu? Non c’è bisogno di essere né filosofi né tedeschi per rispondere. La medicina mira al ripristino dello stato anteriore alla malattia. La psicanalisi medica è essenzialmente orientata in senso conservatore. Al discorso dominante la psicanalisi può andare bene solo se è medica e in mano a medici. Per dirla con termini in uso fino a ieri: la psicanalisi medica, legalizzata come psicoterapia riconosciuta dallo Stato, è di destra, qui.

Sigmund Freud, “La questione dell’analisi laica. Conversazioni con un imparziale”
Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Vienna 1926, 123 pagine.

Questo libro persegue uno scopo strettamente circoscritto, probabilmente in modo intenzionale. Si rivolge apparentemente a una cerchia di persone istruite, che si presume abbiano influenza sull’attività legislativa e al tempo stesso desiderino venire informate sulla posizione che il governo deve prendere sulla questione dell’analisi laica. La risposta data dal libro è affatto univoca; dopo di essa non possono sussistere dubbi sul personale punto di vista del prof. Freud in materia. Comunque, l’analista praticante, che abbia familiarità con tutte le complicazioni e difficoltà del problema, potrebbe dal proprio punto di vista deplorare che il prof. Freud non si sia più brevemente spiegato con le autorità di Vienna, per esempio in una trattazione della quarta parte del presente lavoro, e non si sia rivolto prima all’aspetto tecnico del problema, cui i nostri praticanti sarebbero così profondamente interessati. Infatti, non si può passare sotto silenzio che molti dei punti di vista corrispondenti siano stati sfiorati solo di sfuggita, semplificati o addirittura tralasciati, così che molti analisti restano sensibilmente insoddisfatti nel loro desiderio di un’esposizione più dettagliata.

Il libro è redatto in forma di dialogo socratico tra il prof. Freud e un’ideale (molto ideale!) controparte, presentata come istruita, che affronta il problema in modo del tutto imparziale. È la forma che, come sappiamo per esempio dalle Lezioni, corrisponde in modo meraviglioso alla capacità espositiva del maestro; infatti, gli dà la possibilità di occuparsi nel modo più immediato delle questioni e delle obiezioni che i suoi uditori possono sollevare. Per il successo di questo modo di procedere è assolutamente indispensabile di volta in volta prevenire, intuendoli con rigorosa e scrupolosa imparzialità, gli eventuali pensieri degli uditori; il prof. Freud sa soddisfare questo requisito meglio di chiunque altro. Già con le parole “Lei dirà” si può esser certi di venir presi in un complicato intrico e nella sua soluzione definitiva. Da questo punto di vista nel presente libro esistono alcuni passi dove il prof. Freud non raggiunge del tutto il proprio livello straordinariamente elevato. Non che metta in bocca al proprio contraddittore un’osservazione che suona inverosimile, ma di tanto in tanto sentiamo la mancanza di quella finezza con cui sa sempre scovare il nucleo esatto dell’obiezione cui rispondere.

Il libro si suddivide in tre sezioni; la prima è una presentazione generale che si mantiene sempre all’elevato livello cui l’autore ci ha abituato; la seconda è un procedimento dimostrativo che presenta alcune imperfezioni e la terza è uno sguardo al futuro, che costituisce la parte più interessante e degna di nota del libro.

Sulla prima parte, che comprende più dei due terzi del libro, non c’è molto da dire; anche questa volta non ci si può che stupire per la genialità con cui il prof. Freud tratta in modo sempre nuovo con freschezza e originalità un tema familiare; forse mai come in questo lavoro ha dato la migliore descrizione dell’essenza della psicanalisi, della sua teoria e della sua pratica; ogni analista la leggerà con profitto. Particolarmente vivace e brillante è il modo in cui in numerosi punti sparsi del lavoro illustra le difficoltà che la mera esistenza delle nevrosi fa emergere nella società. Le istituzioni sociali – la religione, l’amministrazione della giustizia e non ultima la stessa medicina – si sono formate nel presupposto che non si dia alcuna via di mezzo tra l’uomo pienamente razionale, compos sui, padrone di sé e autodeterminato, quindi pienamente responsabile, e l’uomo affetto da malattia mentale, quindi assolutamente irresponsabile. Da nessuna parte si riscontra la minima preoccupazione per i numerosi tipi intermedi cui, come abbiamo sempre più spesso imparato a riconoscere, appartiene la maggior parte dell’umanità; anche sostituire la vecchia e cara credenza nell’Io unitario con l’onnicomprensiva conoscenza dell’inconscio porta ovunque a confusione e difficoltà.

Val proprio la pena riportare due enunciati sulle analisi brevi. “Purtroppo devo constatare che tutti gli sforzi per accelerare sostanzialmente la cura analitica sono finora falliti. La via migliore per accorciare l’analisi sembra essere la sua corretta conduzione”.1 Sentiamo anche per la prima volta il prof. Freud esprimersi apertamente a favore delle analisi precoci, comunque con la contestabile restrizione che debbano essere associate a misure educative.2 Dico “contestabile” perché abbiamo imparato a non mescolare le analisi degli adulti con altre misure [terapeutiche] ed è del tutto possibile che le future esperienze ci insegnino ad adottare vantaggiosamente lo stesso comportamento anche con i bambini.

La parte restante del libro contiene esclusivamente la difesa degli analisti laici. Il prof. Freud ci lascia raramente in dubbio sulle sue opinioni, e qui non lo fa di certo. Il libro è espressamente scritto allo scopo di mettere in mano al legislatore che ha in mente il materiale in base al quale può decidere se l’analista laico sia da ammettere oppure no alla pratica. Il prof. Freud non desidera passare per giurista ma lascia facilmente intendere al lettore che lui stesso sarebbe contrario a che le istanze legislatrici adottino simili misure.3 I suoi argomenti principali, che hanno pienamente convinto, sono: 1) l’essenza della psicanalisi4 non esclude l’esercizio da parte dei laici. Se non sia auspicabile per diverse ragioni che l’analista sia medico pratico, è tutta un’altra questione che andrebbe discussa a parte. 2) Ogni divieto del genere inibirebbe il naturale sviluppo della psicanalisi come scienza. Basti pensare ai validi contributi già dati a questa scienza da collaboratori provenienti da campi non medici del sapere, nonché all’applicazione ad altri campi di lavoro come sociologia, antropologia, filologia, mitologia e pedagogia, tutte applicazioni che appartengono tout court alla scienza psicanalitica e la cui importanza sarà in futuro di poco inferiore a quella delle applicazioni mediche; non da ultimo va ricordato l’inestimabile guadagno ricavato dalla psicanalisi dalla frequentazione di questi altri campi – si pensi solo al simbolismo. Queste considerazioni rendono evidente che restringere la psicanalisi alla sfera medica avrebbe la conseguenza di un fatale impoverimento. 3) Tale modo di procedere equivarrebbe a un passo arbitrario e unilaterale in difesa del pubblico, tralasciando i passi realmente importanti che si potrebbero fare in questa direzione. È nel giusto il prof. Freud quando indica che le precondizioni irrinunciabili per esercitare la psicanalisi sono la formazione5 metodologica e la precisa conoscenza dell’oggetto, tutte cose per cui coloro che si sono immischiati nella questione dell’analisi laica non hanno finora dimostrato alcun interesse. Se questa gente dovesse riuscire a imporre le proprie aspirazioni, assisteremmo alla strana commedia di non pochi terapeuti meglio qualificati per il trattamento psicanalitico, cui verrebbe vietato il trattamento, mentre chi non capisce nulla di metodo non andrebbe incontro ad alcuna restrizione di esercizio, purché sia medico; e vedremmo pure che non verrebbe fatto alcun tentativo di insegnare al pubblico a distinguere tra analista idoneo e inidoneo, un programma che le stesse istituzioni che garantiscono la necessaria preparazione dovrebbero promuovere.

Fin qui il prof. Freud si muove su un terreno sicuro. Ma, venendo alla questione più difficile, se sia auspicabile che l’analista abbia oppure no formazione medica, equivalente alla questione se i nostri istituti debbano incoraggiare un candidato ad acquisire la formazione medica, una volta che si sia incamminato nell’esercizio della pratica analitica, troviamo che la forza di convinzione del prof. Freud diventa in certa misura meno stringente. A scoprirne la ragione basta una sola riflessione. Qualunque sia il partito che il singolo sia propenso a prendere, tutti sappiamo bene che possono essere addotte importanti ragioni dall’una e dall’altra parte; tuttavia, volendo arrivare a un punto di vista obbiettivo, sono tutte da prendere in considerazione. Ma su questo punto la presa di posizione del prof. Freud non è così risolutivamente giustificata come prima; di conseguenza ci presenta solo un quadro abbastanza unilaterale della situazione. Nella lunga serie di argomenti ne troviamo dozzine a favore dell’analisi laica, mentre il prof. Freud ne adduce solo uno a favore dell’altra parte, e cioè che la diagnosi iniziale andrebbe posta dal medico.6 Ed è un peccato, perché avremmo tutte le ragioni per supporre che l’autore avrebbe potuto rispondere soddisfacentemente alla maggior parte, forse a tutte, le argomentazioni della controparte. Si spera che lo faccia in seguito, magari nel corso della prevista discussione di questa questione su questa rivista.

Questo atteggiamento unilaterale non può certo essere attribuito al desiderio di presentare al pubblico il problema in forma artificialmente semplificata. Le ragioni sembrano stare altrove.

Verosimilmente il prof. Freud giunse al punto di esporre in modo particolarmente efficace il proprio punto di vista sulla base della ferma convinzione che ogni alternativa avrebbe messo in serio pericolo l’ulteriore sviluppo della psicanalisi. Affronteremo più avanti le ragioni più importanti che Freud adduce per giustificare questa convinzione. Un secondo motivo, meno evidente, potrebbe forse essere una certa avversione nei confronti della professione medica.7 Riteniamo auspicabile occuparci apertamente di questa possibilità, cui lo stesso prof. Freud allude chiaramente in diversi passi,8 perché qualche lettore, scoprendo tale pregiudizio, potrebbe essere tentato di invalidare ingiustificatamente argomenti e conclusioni perfettamente validi. Comunque, dal punto di vista umano la situazione è perfettamente comprensibile e in ultima istanza contiene un elogio non da poco dello status del medico. Dai primi scritti del prof. Freud sappiamo quanto fosse sorpreso e disgustato dalla mancanza di obiettività manifestata dai colleghi le prime volte che comunicò le proprie scoperte davanti a un uditorio medico. A quel tempo riteneva che quel che aveva scoperto fosse essenzialmente un contributo al problema dell’eziologia delle nevrosi e non aveva la minima idea della vasta portata delle conseguenze. Solo molti anni dopo riuscì a riconoscere che la resistenza riscontrata nei propri pazienti era di natura generale, tanto che la reazione del suo uditorio medico era ciò che ci si doveva inesorabilmente aspettare, diventando perciò perfettamente comprensibile. Non sarebbe stato il caso di rimproverare né i colleghi medici né i pazienti per i loro conflitti. Di fatto ai medici Freud applicava e tuttora in qualche modo applica un criterio di misura più severo che alle altre classi professionali. Si aspettava di più dai medici e, nonostante il fatto che mostrassero di avvicinarsi [alla psicanalisi] più di tanti altri,9 il loro comportamento fu tale da deluderlo.

Si aspettava un livello smisuratamente elevato e l’inevitabile conseguenza fu la reazione di delusione con tendenza alla sottovalutazione, venuta al posto della sopravvalutazione.10 Proprio su questo punto ai seguaci di un pioniere risulta facile gloriarsi della propria mancanza di pregiudizi, persino se essi stessi hanno dovuto soffrire non poco a causa dei colleghi medici. E non possiamo nemmeno dimenticare che la maggior parte di noi si è avvicinata a queste difficoltà con un inestimabile vantaggio: quello di essere già preparati a reazioni sgradevoli, come quelle che abbiamo dovuto sperimentare da parte di tutta l’umanità, la classe medica inclusa, psicanalisti occasionalmente compresi. Certamente, grazie a questa conoscenza abbiamo potuto affrontare con una certa imperturbabilità tutte queste ingiustizie e calunnie, che altrimenti ci sarebbero sembrate insopportabili e incomprensibili. Infatti, essere preavvertiti significa essere premuniti.

Ora, supponendo che influenze affettive come quelle appena citate abbiano avuto un ruolo, si capiscono alcune peculiari locuzioni dell’argomentazione e tutta una serie di generalizzazioni senza eccezione a favore degli analisti laici, che tuttavia sono da considerare troppo estese.

Proprio il primo argomento addotto in merito alla questione suona: “I medici non hanno alcun diritto storico al possesso esclusivo dell’analisi. Al contrario, fino a poco tempo fa hanno cercato di nuocerle con ogni mezzo: dall’ironia a buon mercato alla diffamazione più pesante. Lei mi risponderà – e a ragione – che è acqua passata, che non influenzerà il futuro”.11 Ma questa non è la risposta che la controparte darebbe. Potrebbe piuttosto osservare che le resistenze dei medici alla psicanalisi non sono per lo meno superiori a quelle attese da qualunque altra classe professionale, una volta entrata in contatto così stretto con essa,12 e che finché la schiera degli psicanalisti proviene dalla classe medica, la resistenza degli altri medici rispetto al problema in discussione sarà irrilevante.

Il prof. Freud insiste con energia sull’affermazione che nessun analista laico dovrebbe intraprendere un trattamento prima che il paziente sia stato visitato da un medico e posta la diagnosi; in altri termini, l’analista laico dovrebbe limitarsi al trattamento analitico, prescindendo dal consulto medico, una conclusione su cui converrebbero unanimemente tutti i medici, sia quelli che la pensano in modo analitico sia gli altri.13 Ma è davvero un po’ arrischiato affermare senza ulteriori precisazioni: “Nelle nostre associazioni psicanalitiche si è sempre fatto così.”14 Evidentemente il prof. Freud ha fatto in merito esperienze particolarmente favorevoli; la maggioranza degli analisti potrebbe riferire un numero sufficiente di casi che dimostrano il contrario; la mia personale impressione, basata su un’estesa esperienza, è piuttosto che questa regola sia tante volte trasgredita quante seguita, indipendentemente dal luogo di formazione dell’analista in questione.

Anche il quadro favorevole, abbozzato a proposito della qualifica accademica degli analisti laici, è un po’ troppo lusinghiero, anche pensando solo all’Europa.

D’altra parte il prof. Freud dice, sottolineandolo giustamente, che coloro i quali esercitano la psicanalisi senza aver acquisito l’adeguata conoscenza della cosa sono da qualificare come ciarlatani, essendo indifferente se siano medici o non medici: “Basandomi su questa definizione, oso affermare che i medici, non solo in Europa, fornisco­no alla psicanalisi il maggiore contingente di ciarlatani”.15 Ci si chiede quale sia la base di questa affermazione, poiché la risposta alla questione ha chiaramente un peso fuori dal comune. L’unica cosa certa è che capita di sentir parlare molto più facilmente di ciarlatani medici che di altro genere, perché con i primi c’è tutta una serie di punti di contatto professionali. La citata enunciazione potrebbe valere per l’Austria, ma mi sembra dubbio che in questa forma possa valere per l’Inghilterra o l’America, dove forse corrisponde più a verità proprio il contrario.

Stupisce veder portata così in primo piano l’opinione che il trattamento analitico di uno psicotico possa equivalere a un superfluo spreco di energie, senza alcun danno per il paziente.16 Si può invece dimostrare, per lo meno con una certa probabilità, che intervenire con l’analisi su un delirio di difesa può in certi casi produrre una puntata schizofrenica. In ogni caso, in questo campo il nostro sapere non è ancora consolidato.

Il prof. Freud sembra dell’avviso secondo cui i medici che rifiutano l’analisi laica lo fanno principalmente per un atteggiamento collettivo, un punto su cui si potrebbe concordare con lui; purtroppo non si sforza molto per confutare gli argomenti prodotti da questo partito.17 Se per certi medici l’invidia della concorrenza fosse il fattore decisivo, dovrebbero essere di vedute molto corte; infatti, dovrebbe essere per loro indifferente stare in concorrenza con colleghi o con analisti laici e il prof. Freud ammette che sono sempre pronti a introdurre altri medici all’analisi. È un non nobile motivo che si congettura da un altro; ma noi analisti siamo abituati a scoprire motivi non nobili, che vanno trattati correttamente, quando ci si trova di fronte ad essi. Anche questa non è in alcun senso una faccenda indifferente se si pensa che molti analisti laici, la cui formazione richiede solo la quarta parte del tempo di apprendimento richiesto a un medico e ai quali non è richiesto uno standard di vita come ai medici,18 ben presto il livello finanziario del lavoro analitico verrebbe spinto all’ingiù. L’esempio spiacevole solo per segnalare che anche in questo caso gli sviluppi del libro sono incompleti.

Il prof. Freud assume completamente il punto di vista secondo cui, purché l’analista si sia formato nel campo freudiano,19 è “secondario” che sia medico oppure no.20 Di conseguenza gli sembra uno “spreco di energie”,21 “ingiusto” e “inutile”,22 pretendere dal futuro analista la formazione medica.23 In breve, non solo è contrario a vietare la pratica agli analisti laici, ma non si sente neppure disposto a consigliar loro la formazione medica. Certo, allude agli svantaggi che potrebbero derivare dallo studio della medicina (l’influenza materialistica, ecc.). Dal suo punto di vista, sarebbe per loro meglio dedicare il proprio tempo allo studio di alcune materie che non rientrano nel piano di studi di medicina, nella fattispecie la storia della civiltà, la mitologia, la psicologia delle religioni e la critica letteraria. In proposito, osserva espressamente: “Senza un buon orientamento in questi campi, l’analista si troverebbe di fronte a gran parte del proprio materiale senza poterlo comprendere”.24 Ciò è esagerato, si spera; infatti, potrebbero non essere molti gli analisti, tra medici e laici, che raggiungano questo livello di formazione.

Riassumiamo le nostre impressioni sulle principali argomentazioni. Sono sviluppate con l’abilità e l’acume abituali del prof. Freud, ma non contengono nulla di nuovo, tralasciano cose importanti e sono inconfondibilmente di parte. Ciò non di meno, nonostante queste carenze, il risultato finale è assolutamente giusto e si può giustificatamente sperare che la particolareggiata discussione porti alla decisione finale sulla loro giustezza.

Concludendo, veniamo alla parte più avvincente del libro,25 le cui ultime pagine gettano uno sguardo sul futuro e pertanto sarebbe concesso di leggerle in certa misura tra le righe. Mosso dal timore che la medicina potesse “inghiottire”26 la psicanalisi, incorporando la psicanalisi definitivamente nel capitolo “Terapia” dei manuali di psichiatria, senza tener alcun conto di tutte le altre possibilità di applicazione, il prof. Freud annuncia che si eviterebbe tale destino qualora la psicanalisi si affermasse come disciplina affatto indipendente e, corrispondentemente, come professione autonoma.27 Schizza a grandi linee un piano di studi che gli sembra auspicabile per la formazione dell’analista sia a livello propedeutico sia a livello tecnico. Oltre a includere le materie citate, dovrebbe comprendere “un’introduzione alla biologia, la conoscenza della vita sessuale nella misura più ampia possibile e nozioni dei quadri clinici psichiatrici.”28 Tale proposta è irta di difficoltà sia di ordine teorico sia pratico. Quanto si può apprendere, per esempio, della paralisi progressiva senza conoscenze di neurologia, patologia e clinica medica? Dove trovare specialisti che possano tenere lezioni sulla sessualità sia dell’uomo sia degli animali? Quale occasione si offre per studiare la mitologia, la psicologia delle religioni o perfino della storia delle civiltà? Queste domande, e ancora molte altre, ci si impongono. Tutto suona come “musica del futuro”. Ma in fondo la cosa principale è l’idea; se l’idea è vitale, allora con il tempo si possono superare tutte le difficoltà. E questa idea è sicuramente adatta a catturare la nostra immaginazione.

Soppesando rispettivamente il collettivo psicanalitico e quello medico, con quanti psicanalisti medici la psicanalisi vincerebbe? Io spero e credo con la stragrande maggioranza.29 Ma si può altrettanto ben sperare di trovare un’altra soluzione che consenta l’armoniosa collaborazione.

Le questioni sollevate da questo libro riguardano ogni analista e, dato che sono collegate ai compiti della commissione didattica dell’ipa, tra breve si troverà la definitiva decisione in materia. Tutti noi dobbiamo essere grati al prof. Freud di aver attirato la nostra attenzione con un libro tanto provocante quanto stimolante.

Ernest Jones, Londra.

In Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse, 13(1) (1927), pp. 101-107.

Revisione di Davide Radice

 

Note

1 S. Freud, Die Frage der Laienanalyse (1926), trad. it., La questione dell’analisi laica, Mimesis, Milano 2012, p. 75.

2 Ivi, p. 63.

3 Ivi, vd. in particolare, p. 24 e p. 107.

4 [“L’essenza della psicanalisi”! “Essenza” è un termine filosofico. Non si parla di “essenza” della fisica, della chimica, della biologia, in generale, di una scienza. Jones parla di essenza della psicanalisi perché non la ritiene una scienza? In effetti, sembra considerare la psicanalisi una pratica di cura medica, che comunemente è ritenuta più un’arte che una scienza.]

5 [Il termine usato da Jones non è Bildung ma Schulung, che indica la formazione scolastica. A decenni di distanza constatiamo quanto le scuole di psicanalisi siano state deleterie per il movimento psicanalitico. Hanno irrigidito le dottrine psicanalitiche in formati immodificabili e favorito la collusione con la medicina, finché il potere legislativo non ha ritenuto opportuno, con solidi argomenti, di equiparare a tutti gli effetti la psicanalisi alla psicoterapia.]

6 Ma anche qui Freud non commenta a sufficienza le complicazioni derivanti dalla circostanza che in molti casi la diagnosi può essere posta solo in corso d’analisi. [Jones, da medico qual era, non si rendeva (o non voleva rendersi) conto che la pretesa diagnostica è la mossa decisiva che colloca irreversibilmente l’analisi freudiana in campo medico. Infatti, la diagnosi è l’atto medico per eccellenza, rispetto al quale anche l’atto terapeutico è secondario e necessariamente si configura come atto medico. Freud poteva fin che voleva contestare i medici, affastellando argomenti a favore dei non medici, ma, continuando a concepire la pratica della psicanalisi soggetta al giudizio del medico, la sua argomentazione restava non conclusiva: la terapia analitica, in quanto atto condizionato dalla medicina, doveva essere eseguito da medici; Freud si era da sé condannato a fare un buco nell’acqua, come in seguito egli stesso riconobbe nella lettera a Eitingon dell’aprile 1928.]

7 [Ponendosi sul piano della professionalità, a Jones sfugge la distinzione tra avversione ai medici e avversione alla medicina. Freud non è avverso alla medicina ma ai medici.]

8 S. Freud, La questione dell’analisi laica, op. cit. p. 24, p. 26 e p. 84. [Ma non si dovrebbe omettere di citare la seconda riga del saggio, dove compare la discutibile equazione laici = non medici, in cui Freud enuncia di non volerne sapere dei medici.]

9 Il fatto che i quattro quinti dei suoi allievi siano medici non si giustifica unicamente in termini di associazione degli analisti su base medica.

10 [Questa spiegazione di Jones non è sbagliata; è solo una razionalizzazione. Bisogna risalire all’esperienza transferale di Freud con il medico più importante della sua vita, l’otorino di Berlino, suo analista. Fu Fliess a deludere Freud e a innescare la sua paranoia contro i medici. Esattamente come molti (moltissimi) analizzanti, che concludono la propria analisi in paranoia contro “tutti” gli psicanalisti, perché “uno” non ci ha saputo fare con loro, così Freud concluse la propria. Tuttavia, la paranoia contra medicos non intaccò la sua concezione della medicina come scienza, alla cui altezza doveva stare la psicanalisi. Insomma, Freud odiava i medici e amava la medicina, che idealizzava. (Naturalmente nessun medico era all’altezza del suo ideale.) Questo è certamente un punto sintomatico che la sua autoanalisi non toccò e non sciolse. Risultato: i medici divennero per Freud il bersaglio polemico che gli impedì di riconoscere la fallacia di porre la medicina sullo stesso piano della scienza e la psicanalisi sullo stesso piano della medicina. Noi, suoi epigoni, abbiamo ereditato da Freud questo tratto: preferiamo contestare i colleghi, come se fossero dei selvaggi, piuttosto che lo statuto di “scienza medica” che Freud ha inconsapevolmente conferito alla psicanalisi.]

11 S. Freud, La questione dell’analisi laica, op. cit., p. 84.

12 In Inghilterra sentiamo levarsi grida di sdegno dal campo dei giuristi come se i problemi psicanalitici li riguardassero solo da lontano. [L’osservazione empirica di Jones ha in questo contesto una specifica rilevanza. Tra medicina e diritto, infatti, c’è non solo collusione di fatto, per esempio in tutto il campo della medicina legale e delle assicurazioni, ma affinità di principio, in quanto medicina e diritto sono le varianti principali – e violente! – del discorso dominante, che dice le cose come stanno, cioè secondo la volontà e l’interpretazione ontologica del padrone.]

13 [Insomma, qui si dice chiaramente che l’autorizzazione a esercitare la psicanalisi lo deve dare comunque il medico. La soggezione della psicanalisi alla medicina è completa. Perché? Perché la psicanalisi è concepita da Freud e dai suoi primi allievi come atto di cura originariamente medico. Oggi per il senso comune e per gli specialisti la questione è passata in giudicato: la psicanalisi è incontrovertibilmente ritenuta una delle tante psicoterapie. La medicina ha inghiottito la psicanalisi, come temeva Freud. Il principio lacaniano che l’analista si autorizza da sé è caduto nel vuoto. La demedicalizzazione della psicanalisi attende da più di un secolo ed è ancora tutta da fare.]

14 S. Freud, La questione dell’analisi laica, op. cit., p. 101.

15 Ivi, p. 84.

16 Ivi, p. 88. [Per la verità, Freud sta sulle generali e non fa riferimento a casi gravi. Jones usa tendenziosamente l’argomento della difesa del soggetto debole, che è un cavallo di battaglia della pubblica accusa nei nostri tribunali.]

17 [Come dimostra Davide Radice, l’argomentazione di Freud segue il modello medievale della quaestio disputata, dove il maestro espone la tesi ortodossa della propria dottrina e confuta le obiezioni dell’avversario. Jones aderisce completamente a questo modello di argomentazione che, se tuttora sopravvive nei tribunali come contraddittorio tra accusa e difesa, nell’attesa del giudizio dirimente – fortemente binario – del giudice, non ha più corso in ambito scientifico, dove le congetture in concorrenza spesso collaborano per arrivare a formulare congetture più ampie che comprendano i contributi di tutte quelle in esame. È questo un segno della scarsa scientificità di entrambi gli autori, il recensore e il recensito. Infatti, sono entrambi medici, di mentalità più vicina al giudice che all’uomo di scienza. La storia insegna che nella scienza il progresso non avviene per vittoria di una parte sull’altra in una controversia, ma per cooperazione di idee apparentemente contraddittorie, che arrivano a un compromesso. Le cosiddette controversie scientifiche, di cui non mancano esempi furibondi in ogni campo di ricerca, dalla fisica alla biologia, dalla psicanalisi alla matematica, sono quasi sempre più ideologiche che scientifiche, più espressione di resistenza alla scienza degli stessi scienziati che fattori di progresso culturale. Come nel caso in questione della polemica attizzata da Freud sull’analisi laica.]

18 In alcune città il medico deve operare in quartieri cari o può rinunciare del tutto alla professione.

19 [Letteralmente “nel suo campo”. La leggera forzatura della traduzione vuol dare spazio all’espressione con cui Lacan definiva trent’anni dopo il campo vettoriale del desiderio. Cfr. J. Lacan, “Remarque sur le rapport de Daniel Lagache: Psychanalyse et structure de la personnalité” (1958), in id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 656.]

20 S. Freud, La questione dell’analisi laica, op. cit., p. 89.

21 Ivi, p. 88 e p. 98.

22 Ivi, p. 104.

23 [Spezziamo una lancia a favore di Freud. Se è vero che la psicanalisi è una scienza, allora si può tranquillamente affermare che la formazione medica non prepara il futuro analista all’attività psicanalitica in quanto il medico riceve una formazione esclusivamente tecnico-applicativa, che ha poco di scientifico. La preparazione medica può far conoscere allo psicanalista ciò che non fa scienza, per esempio l’abuso del principio eziologico di ragion sufficiente, secondo cui ogni fenomeno ha una causa diretta. Ma questo discorso ci porta lontano anche da Freud, che è un assertore del ferreo determinismo psichico.]

24 S. Freud, La questione dell’analisi laica, op. cit., p. 104.

25 [Sulla doppiezza di Jones nei confronti del “professor” Freud Lacan ebbe le idee chiare sin dal 1955, ai tempi del seminario sulle psicosi: cette querelle mériterait notre intérêt par les exploits dialectiques qu’elle a imposés au Dr Ernest Jones pour soutenir de l’affirmation de son entier accord avec Freud une position diamétralement contraire, à savoir celle qui le faisait, avec des nuances sans doute, le champion des féministes anglaises, férues du principe du «chacun son»: aux boys le phalle, aux girls le c… (J. Lacan, “D’une question préliminaire à tout traitement possible de la psychose” (1959), in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 555. Vedi anche: Avec Jones, Freud était tranquille – il savait que sa biographie serait une hagiographie (J. Lacan, Joyce le symptome I, 16 giugno 1975, in “L’ane”, n. 6, 1982).]

26 [Jones recensisce il libro del 1926. Non considera il poscritto del 1927, dove Freud usa un verbo ben più forte di verschlucken, inghiottire; usa erschlagen, ammazzare.]

27 [Finalmente anche Jones, nonostante la propria formazione medica, arriva al significato autentico e positivo di “laico”, che tuttavia sfuggì a Freud; non solo il negativo “non medico”, come propose Freud, ma “autonomo”, (anche dalla medicina, s’intende).]

28 S. Freud, La questione dell’analisi laica, op. cit., p. 103.

29 [Jones si dimostra tanto “imparziale” quanto l’interlocutore imparziale di Freud. Non dimentichiamo che la medicina ha millenni di autorevolezza alle spalle, mentre la psicanalisi solo qualche decennio, come subaffittuaria del reparto di psichiatria. In così poco tempo non è riuscita neppure a formula un piano politico autonomo, essendo andata sempre a rimorchio della medicina.]

 

Sigmund Freud ed Ernest Jones
Sigmund Freud ed Ernest Jones

Di seguito il testo originale.

Freud, Sigm.: Die Frage der Laienanalyse. Unterredungen mit einem Unparteiischen.
Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Wien 1926, 123 Seiten.

[101] Dieses Buch verfolgt wahrscheinlich ein mit Absicht eng umgrenztes Ziel. Es scheint sich an irgendeinen Kreis von Gebildeten zu wenden, von dem angenommen wird, daß er Einfluß auf die Gesetzgebung und zugleich den Wunsch hat, darüber unterrichtet au werden, welche Stellung eine Regierung zur Frage der Laienanalyse einnehmen sollte. Die Antwort, die das Buch gibt, ist vollkommen eindeutig; es kann nach ihr hinsichtlich der persönlichen Ansicht Prof. Freuds über diesen Gegenstand kein Zweifel bestehen. Immerhin, der ausübende Analytiker, der mit allen Komplikationen und Schwierigkeiten des Problems vertraut ist, dürfte es von seinem Standpunkt aus bedauern, daß Prof. Freud sich mit den örtlichen Autoritäten Wiens nicht kürzer, etwa in einer Abhandlung vom vierten Teil der vorliegenden Arbeit auseinandergesetzt und sich nicht eher der technischen Seite des Problems zugewandt hat, an der unsere Praktiker so tief interessiert sein würden. Denn es darf nicht verschwiegen werden, daß viele von den einschlägigen Gesichtspunkten nur flüchtig gestreift, vereinfacht oder auch ganz unerwähnt gelassen worden sind, so daß sich bei vielen Analytikern Unbefriedigtheit und der Wunsch nach einer ausführlicheren Darstellung bemerkbar machen dürfte.

Das Buch ist abgefaßt in Form eines sokratischen Dialogs zwischen Prof. Freud und einem ideal (sehr ideal!) vorgestellten gebildeten Gegenspieler, der an das Problem ganz unparteiisch herangeht. Es ist eine Form, die, wie wir es beispielsweise aus den „Vorlesungen“ wissen, der Darstellungskraft des Meisters in bewundernswerter Weise entspricht, denn sie ermöglicht es ihm, sich am unmittelbarsten mit den Fragen und Einwänden, die sich bei seinen Hörern regen können, auseinanderzusetzen. Bei diesem Verfahren ist es für den Erfolg ganz unerläßlich, daß man im Erraten der jeweils möglichen Bedenken der Hörer mit strenger und gewissenhafter Unparteilichkeit vorgehe, und diese Bedingung weiß Prof. Freud besser als jeder andere zu erfüllen. Bei den Worten „Sie werden sagen“ kann man schon mit Sicherheit auf eine verwirrende Schwierigkeit und auf ihre endgültige Lösung gefaßt sein. Im vorliegenden Buch gibt es einige Stellen, wo Prof. Freud sein [102] außerordentlich hohes Niveau in dieser Hinsicht nicht ganz erreicht. Nicht daß er etwa seinem Diskussionsgegner je eine unwahrscheinlich klingende Bemerkung in den Mund legte, aher wir vermissen zuweilen die feine Genauigkeit, mit der er sonst immer den exaktesten Kern des zu beantwortenden Einwands auffindet.

An dem Buch lassen sich drei Hauptteile unterscheiden: erstens eine allgemeine Darstellung, die sich ganz auf dem gewohnten hochwertigen Niveau des Autors halt, zweitens ein Beweisverfahren, das einige Unvollkommenheiten aufweist, und drittens ein Ausblick in die Zukunft, der den bemerkenswertesten und interessantesten Teil des Buches ausmacht.

Über den ersten Teil, der mehr als zwei Drittel des Buches einnimmt, ist nicht viel zu sagen; man muß auch diesmal die Genialität bewundern, mit der Prof. Freud ein vertrautes Thema immer von neuem mit steter Frische und Ursprünglichkeit behandelt. Er hat vielleicht nie eine bessere Beschreibung vom Wesen der Psychoanalyse, ihrer Theorie und Praxis gegeben als in dieser Arbeit; jeder Analytiker wird sie mit Nutzen lesen. Besonders lebendig ist die glänzende Art, in der Prof. Freud an zahlreichen verstreuten Stellen der Arbeit die vielen Schwierigkeiten beleuchtet, die der Gesellschaft durch die bloße Existenz von Neurosen erwachsen. Soziale Einrichtungen – die Religion, die Rechtspflege und nicht zuletzt die Medizin – haben sich unter der Voraussetzung gebildet, daß es kein Mittelding gäbe zwischen dem vollkommenen rationalen, sich selbst erfassenden, beherrschenden und bestimmenden, also voll verantwortlichen Menschen und dem, der mit Geisteskrankeit behaftet und demnach absolut unverantwortlich ist. Nirgends ist irgendeine Vorsorge getroffen worden für die zahlreichen Zwischentypen, zu denen, wie wir immer mehr einsehen lernen, der größte Teil der Menschheit gehört, und der Ersatz des guten alten Glaubens an ein einheitliches Ich durch die umfassende Kenntnis des Unbewußten führt allerorts zu Verwirrung und Schwierigkeiten.

Zwei Sätze über kurze Analysen sind wohl wert, angeführt zu werden: „Ich muß leider konstatieren, alle Bemühungen, die analytische Kur ausgiebig zu beschleunigen, sind bisher gescheitert. Der beste Weg zu ihrer Abkürzung scheint ihre korrekte Durchführung zu sein“. (S. 76/77). Wir hören auch Prof. Freud sich zum erstenmale unverholen zugunsten der Frühanalyse äußern, allerdings mit der anfechtbaren Einschränkung, daß sie von erzieherischen Maßnahmen begleitet sein müsse (S. 60/61). Ich sage „anfechtbar“, denn wir haben doch die Analysen Erwachsener von einer Vermengung mit anderen Maßnahmen freizuhalten verstanden, und es ist durchaus möglich, daß zukünftige Erfahrungen uns lehren werden, dasselbe Verhalten auch Kindern gegenüber mit Vorteil anzuwenden.

Der übrige Teil des Buches enthält ausschließlich eine Verteidigung des Laienanalytikers. Prof. Freud läßt uns über seine Ansichten selten im Zweifel, und hier tut er es gewiß nicht. Das Buch ist eigens zu dem Zweck geschrieben, dem ihm vorschwebenden Gesetzgeber das Material in die Hand zu geben, an dem er die Entscheidung treffen kann, ob Laienanalytiker zur Praxis zuzulassen seien oder nicht. Prof. Freud lehnt jeden Wunsch, als Rechtstheoretiker zu gelten, ab, aber er macht es dem Leser leicht, zu erraten, daß er selbst dagegen wäre, daß die gesetzgebenden Instanzen [103] derartige Maßnahmen treffen, (s. besonders S. 97, 101, 125). Seine Hauptargumente, die Ref. vollends überzeugten, sind: 1) Das Wesen der Psychoanalyse schließt ihre Ausübung durch Laien nicht aus. Ob es nicht aus verschiedenen Gründen für den Analytiker wünschenswerter wäre, praktischer Mediziner zu sein, ist eine ganz andere Frage, die für sich erörtert werden müsste. 2) Jedes derartige Verbot würde die natürliche Entwicklung der Psychoanalyse als Wissenschaft hemmen, was sicherlich nachteilige Folgen hatte. Man braucht nur an die wertvollen Beiträge zu denken, die dieser Wissenschaft durch nichtärztliche, von anderen Wissensgebieten kommende Mitarbeiter schon zugeflossen sind, an die Anwendungen auf andere Arbeitsgebiete, wie Soziologie, Anthropologie, Philologie, Mythologie und Pädagogik, Anwendungen, die schlechthin zur psychoanalytischen Wissenschaft gehören und deren künftige Bedeutung denjenigen auf die Medizin wohl kaum nachsteht; und nicht zuletzt an die unschätzbaren Gewinne, die der Psychoanalyse aus der Beschäftigung mit diesen anderen Gebieten erwachsen sind (es sei nur an die Symbolik erinnert!). Diese Betrachtungen machen es offenkündig, daß eine Beschränkung der Psychoanalyse auf die medizinische Sphäre eine verhängnisvolle Verarmung zur Folge haben würde. 3) Ein solches Vorgehen käme einem willkürlichen und einseitigen Schritt zum Schutze der Öffentlichkeit gleich, und würde die wirklich wichtigen Schritte außer acht lassen, die in dieser Richtung unternommen werden könnten. Prof. Freud weist mit Recht darauf hin, daß für die Ausübung der Psychoanalyse eine methodische Schulung und eine genaue Kenntnis des Gegenstandes unerläßliche Vorbedingungen sind, Dinge, für die diejenigen, die sich in die Frage der Laienanalyse mischten, bisher kein Interesse gezeigt haben. Wenn diese Leute mit ihren Bestrebungen durchdringen sollten, würden wir das merkwürdige Schauspiel erleben, daß manchen zur psychoanalytischen Behandlung bestens qualifizierten Therapeuten die Behandlung verboten würde, während diejenigen, die von der Methode nichts verstehen, keinerlei Beschränkung ihrer Ausübung erfahren würden, soferne sie Ärzte sind; und wir würden sehen, daß kein Versuch gemacht würde, das Publikum davon zu unterrichten, wie es geeignete Analytiker von ungeeigneten unterscheiden bzw. die Einrichtungen fördern sollte, die ihre notwendige Schulung verbürgen.

Soweit bewegt sich Prof. Freud auf sicherem Boden. Wenn wir aber zu der schwierigeren Frage kommen, ob es wünschenswerter sei, daß der Analytiker medizinisch geschult sei oder nicht, was praktisch gleichbedeutend ist mit der Frage, ob unsere Institute einen Kandidaten zur medizinischen Schulung ermutigen sollen, ehe er zur Ausübung der psychoanalytischen Praxis schreitet, empfinden wir Prof. Freuds Überzeugungskraft doch als weniger zwingend. Der Grund hiefür läßt sich durch eine einzige Überlegung auffinden. Wir wissen alle, daß, nach welcher Seite auch der einzelne neigen möge, sicher gewichtige Gründe für die eine wie für die andere Seite vorgebracht werden können, die doch in Betracht gezogen werden müssen, wenn man zu einem objektiven Standpunkt gelangen will. Prof. Freuds Stellungnahme ist aber hier nicht so durchgreifend gerecht, wie sonst, und dies hat zur Folge, daß sich uns ein ziemlich einseitiges Bild der Situation darstellt. In einer langen Reihe von Argumenten finden wir Dutzende zugunsten der Laienanalyse, während er nur ein einziges zugunsten [104] der anderen Seite anführt, nämlich, daß die Anfangsdiagnose durch einen Arzt gestellt werden müsse. (Aber auch hier bespricht er die Komplikationen nicht ausreichend, die aus dem Umstände erwachsen, daß die Diagnose in vielen Fällen erst während der Analyse gestellt werden kann.) Es ist schade, denn man hat allen Grund, anzunehmen, daß der Autor die meisten, und vielleicht alle Argumente der Gegenseite befriedigend hätte beantworten können. Hoffentlich wird er es später einmal noch tun, vielleicht im Verlaufe der geplanten Diskussion dieser Frage in dieser Zeitschrift.

Diese einseitige Einstellung kann wohl nicht dem Wunsche zugeschrieben werden, der Öffentlichkeit das Problem in einer künstlich vereinfachten Form darzubieten. Die Gründe scheinen an anderer Stelle zu liegen.

Prof. Freud lag vermutlich daran, seine Ansicht besonders wirksam darzulegen, auf Grund der festen Überzeugung, daß jede Alternative die weitere Entwicklung der Psychoanalyse ernstlich gefährden würde. Auf die gewichtigen Gründe, die er für diese Überzeugung anführt, werden wir weiter unten eingehen. Ein zweites, weniger offenkundiges Motiv könnte vielleicht in einer gewissen Abneigung gegen den Ärzteberuf liegen. Wir halten es für wünschenswert, uns offen mit dieser Möglichkeit zu befassen, auf welche Prof. Freud selbst an verschiedenen Stellen deutlich hinweist (S. 86, 95, 94), denn mancher Leser könnte nach Entdeckung eines solchen Vorurteils versucht sein, durchaus gültige Schlüsse und Argumente ungerechtfertigterweise zu entwerten. Immerhin, die Situation ist menschlich durchaus verständlich, und enthält in letzter Linie ein nicht geringes Lob des Ärztesundes. Wir wissen aus Prof. Freuds früheren Schriften, daß er bei seinen ersten Mitteilungen über seine Funde vor einem medizinischen Auditorium von dem Mangel an Objektivität, den seine Kollegen an den Tag legten, in hohem Maße überrascht und abgestoßen war. Zu jener Zeit hielt er das, was er gefunden hatte, im Wesentlichen für einen Beitrag zu den Problemen der Neurosenätiologie und hatte wenig Ahnung von der weitreichenden Bedeutung seiner Folgerungen. Erst viele Jahre später vermochte er zu erkennen, daß der Widerstand, den er bei seinen Patienten antraf, allgemeiner Natur sei, so daß die Reaktion seiner medizinischen Hörerschaft unfehlbar erwartet werden mußte und durchaus verständlich war. Es wäre ebensowenig tunlich, ihnen daraus einen Vorwurf zu machen, wie den Patienten aus ihren Konflikten. Tatsächlich legte er und legt in gewissem Ausmaß auch heute noch gegenüber dem Ärztestand einen strengeren Maßstab an als gegenüber den anderen Berufsklassen. Er erwartete mehr von den Ärzten, und trotz der Tatsache, daß sich ihrerseits auch mehr Annäherung zeigte als von irgend einer anderen Seite (— die Tatsache, daß vier Fünftel seiner Schüler Ärzte sind, ist keineswegs einzig dem Zusammenschluß der Analytiker auf medizinischer Basis zu verdanken —), so mag ihn doch ihr Verhalten enttäuscht haben.

Er erwartete ein übermassig hohes Niveau und dies hatte die unausbleibliche Enttäuschungsreaktion zur Folge, daß an die Stelle einer Überschätzung die Neigung zur Unterschätzung trat. Für die Anhänger eines Vorkämpfers ist es leicht, sich gerade in diesem Punkt ihrer Vorurteilslosigkeit zu rühmen, sogar wenn sie selbst nicht wenig unter ihren ärztlichen Kollegen zu leiden gehabt haben. Wir dürfen eben nicht vergessen, daß die [105] meisten von uns mit einem unschätzbaren Vorteil an diese Schwierigkeiten herantraten, der darin bestand, daß wir auf die unangenehmen Reaktionen, die wir bei der ganzen Menschheit, einschließlich der Ärzteschaft, ja, gelegentlich auch bei den Psychoanalytikern selbst zu erfahren hatten, bereits gefaßt waren. Diese Erkenntnis hat es uns ohne Zweifel ermöglicht, mit einem gewissen Gleichmut den Ungerechtigkeiten und Verleumdungen entgegenzutreten, welche uns sonst unerträglich und unverständlich erschienen wären. Denn im voraus gewarnt sein, heißt im voraus gewappnet sein.

Nur wenn man annimmt, daß solche affektive Einflüsse, wie die beiden eben erwähnten, mitgespielt haben, kann man manche eigentümliche Wendungen in der Argumentation und eine Reihe von ausnahmslos zugunsten der Laienanalytiker angestellten Verallgemeinerungen verstehen, die doch zu umfassend gehalten sind.

Gleich das erste, zu der Frage vorgebrachte Argument lautet: „Ein historisches Anrecht auf den Alleinbesitz der Analyse haben die Ärzte nicht, vielmehr haben sie bis vor kurzem alles aufgeboten, von der seichtesten Spötterei bis zur schwerwiegendsten Verleumdung, um ihr zu schaden. Sie werden mit Recht antworten: ‚Das gehört der Vergangenheit an und braucht die Zukunft nicht zu beeinflussen’“ (S. 686). Das ist aber nicht die Antwort, die die Gegenpartei geben würde. Sie könnte eher bemerken, daß der Widerstand des Ärztestandes gegen die Psychoanalyse wenigstens nicht größer sei als der, den man von jeder Berufsklasse zu erwarten gehabt hätte, die in denselben engen Kontakt mit ihr gekommen wäre (in England hörten wir entrüstetes Geschrei aus dem Lager der Juristen, als sich ihnen psychoanalytische Probleme nur von ferne näherten), und daß, solange sich die Reihen der Psychoanalytiker aus dem Ärztestand ergänzen, der Widerstand der anderen Ärzte für das zu erörternde Problem belanglos ist.

Prof. Freud besteht mit Nachdruck darauf, daß kein Laienanalytiker eine Behandlung übernehmen sollte, bevor der Patient nicht durch einen Arzt untersucht und die Diagnose gestellt sei; m. a. W. der Laienanalytiker sollte sich auf die analytische Behandlung beschränken und von der ärztlichen Beratung absehen, eine Schlußfolgerung, der analytisch und nicht analytisch denkende Ärzte einstimmig beistimmen werden. Aber es ist doch etwas gewagt, ohne weitere Erklärung zu behaupten: „In unserer analytischen Gesellschaft ist es immer so gehandhabt worden.” Prof. Freud hat da offenbar besonders günstige Erfahrungen gemacht; die meisten Analytiker könnten genug Falle anfuhren, die das Gegenteil beweisen ; mein eigener Eindruck, der sich auf eine ausgedehnte Erfahrung stützt, ist eher der, daß diese Regel ebenso oft übertreten wie befolgt wird, und das unabhängig vom Ausbildungsort des betreffenden Analytikers.

Auch ist wohl das günstigste Bild, das er von der akademischen Qualifikation der Laienanalytiker entwirft (S. 115), etwas zu schmeichelhaft, selbst wenn man nur an Europa denkt.

Andererseits sagt Prof. Freud, nachdem er mit Recht betont, daß diejenigen, die die Psychoanalyse ausüben ohne eine angemessene Kenntnis der Sache erworben zu haben, als Quacksalber zu bezeichnen sind, gleichgültig ob sie Ärzte sind oder nicht: „Auf dieser Definition fußend, wage ich die Behauptung, daß – nicht nur in den europäischen Ländern – die Ärzte zu [106] den Kurpfuschern in der Analyse ein überwiegendes Kontingent stellen“ (S. 87). Man fragt sich, worauf diese Feststellung begründet ist, denn die Beantwortung der Frage ist offensichtlich eine außerordentlich schwierige. Sicher ist nur, daß man viel leichter von ärztlichen Kurpfuschern zu hören bekommt als von anderen, denn es bestehen mit ersteren eine ganze Reihe beruflicher Berührungspunkte. Der angeführte Ausspruch mag für Österreich zutreffend sein, aber es scheint mir zweifelhaft, ob er in dieser Form für England und Amerika Geltung hat, und ob dort nicht vielleicht das gerade Gegenteil mehr der Wahrheit entspricht.

Man ist überrascht, die Ansicht so bestimmt in den Vordergrund gerückt zu sehen, daß die analytische Behandlung eines Psychotikers zwar einer überflüssigen Kraftvergeudung gleichkommen mag, dem Patienten aber auf keinen Fall schaden könne (S. 106). Es läßt sich doch immerhin mit einer gewissen Wahrscheinlichkeit zeigen, daß das analytische Angehen schützender Wahnbildungen in manchen Fällen einen schizophrenen Schub einleiten kann. Jedenfalls steht unser Wissen auf diesem Gebiet noch keineswegs fest.

Prof. Freud scheint der Ansicht zu sein, daß diejenigen Ärzte, die die Laienanalyse ablehnen, dies hauptsächlich aus kollegialer Gesinnung tun, in welchem Punkte Ref. ihm beistimmen würde; leider bemüht er sich nur wenig, die Argumente zu widerlegen, welche von dieser Partei vorgebracht werden. Sollte aber für manche Ärzte der Konkurrenzneid ausschlaggebend sein, so müssten diese sehr kurzsichtig sein, denn es müsste ihnen doch gleichgültig sein, ob sie mit Kollegen im Konkurrenzkampf stehen oder mit Laienanalytikern, und Prof. Freud gibt ja zu, daß sie immer bereit sind, andere Ärzte in die Analyse einzuführen. Es ist ein unedles Motiv, das man da beim anderen vermutet, aber wir Analytiker sind gewohnt, unedle Motive aufzudecken, und auch diese müssen gerecht behandelt werden, wenn man sich mit ihnen auseinandersetzt. Dies ist auch keineswegs eine gleichgültige Sache, wenn man bedenkt, daß viele Laienanalytiker, deren Ausbildung nur den vierten Teil der Lehrzeit eines ärztlichen Analytikers beansprucht, und denen kein bestimmter Lebensstandard vorgeschrieben ist, wie den Ärzten, (in manchen Städten muß ein Arzt in bestimmten teuern Vierteln praktizieren, oder er kann überhaupt darauf verzichten), bald das finanzielle Niveau der analytischen Arbeit herabdrücken würden. Dieses unerquickliche Beispiel sollte nur angeführt werden, um zu zeigen, daß die Ausführungen dieses Buches auch an dieser Stelle unvollkommen sind.

Prof. Freud nimmt durchaus den Standpunkt ein, daß, wenn nur der Analytiker auf seinem Gebiet geschult ist, es „nebensächlich“ ist, ob er auch Arzt ist oder nicht (S. 94). Infolgedessen erscheint es ihm als eine „Kraftverschwendung“, als „ungerecht und unzweckmäßig“, von dem zukünftigen Analytiker eine ärztliche Ausbildung zu verlangen. Kurz, er ist nicht nur dagegen, den Laienanalytikern ihre Praxis zu verbieten, sondern er sieht sich auch nicht dazu veranlaßt, ihnen zu einer medizinischen Ausbildung zu raten. Ja, er weist sogar auf Nachteile hin, die ihnen aus dem medizinischen Studium erwachsen könnten (materialistische Beeinflussung etc.). Es wäre nach seiner Ansicht besser für sie, ihre Zeit manchen Fächern zu widmen, die im medizinischen Lehrplan nicht enthalten sind, nämlich der Kulturgeschichte, der Mythologie, Religionspsychologie und Literaturwissenschaft. In diesem [107] Zusammenhang bemerkt er ausdrücklich: „Ohne eine gute Orientierung auf diesen Gebieten steht der Analytiker einem großen Teil seines Materials verständnislos gegenüber“ (S. 116). Dies ist hoffentlich etwas übertrieben, denn es dürfte nicht viele Analytiker geben, die – mögen sie Ärzte oder Laien sein – diese Bildungsstufe erreichen.

Fassen wir unsere Eindrücke von den Hauptargumenten zusammen. Sie sind mit Geschick und Scharfsinn vorgebracht, wie wir es bei Prof. Freud gewohnt sind, aber sie enthalten nichts Neues, lassen viel Wichtiges vermissen und sind unverkennbar parteiisch. Nichtsdestoweniger mag das Endresultat trotz dieser Mängel absolut richtig sein, und man kann mit Recht hoffen, daß eine ausführliche Diskussion die endgültige Entscheidung über ihre Richtigkeit bringen wird.

Wir kommen schließlich zu dem packendsten Teile des Buches. Seine letzten Seiten geben einen Ausblick in die Zukunft, und da dürfte es gestattet sein, gewissermaßen zwischen den Zeilen zu lesen. Angeregt durch die Befürchtung, daß die Medizin die Psychoanalyse „verschlucken“ könnte, indem sie die Psychoanalyse schließlich dem Kapitel „Therapie“ der psychiatrischen Lehrbücher einverleibt, ohne daß man sich noch um all ihre weiteren Anwendungsmöglichkeiten kümmern würde, deutet Prof. Freud an, daß dieses Schicksal nur dann zu vermeiden ist, wenn die Psychoanalyse sich als vollkommen unabhängige Disziplin behauptet und dementsprechend zu einem selbständigen Beruf wird. Er skizziert in Umrissen den Lehrplan, der ihm für die analytische Ausbildung sowohl in der vorbereitenden als auch in der technischen Stufe als wünschenswert erscheint. Er solle unter Einbeziehung der oben erwähnten Fächer „eine Einführung in die Biologie, in möglichst großem Umfang die Kunde vom Sexualleben, eine Bekanntschaft mit den Krankheitsbildern der Psychiatrie“ umfassen. Dieser Vorschlag wimmelt von Schwierigkeiten sowohl theoretischer wie praktischer Art. Wieviel kann man beispielsweise von der progressiven Paralyse ohne Kenntnis der Neurologie, der Pathologie und der klinischen Medizin lernen ? Wo findet man die Spezialisten, die über die Sexualität sei es des Menschen, sei es der Tiere Vorlesungen abhalten könnten? Welche Gelegenheit bietet sich zum Studium der Mythologie, der Religionspsychologie oder gar der Kulturgeschichte? Diese Fragen und noch eine Menge andere drängen sich uns auf. Es klingt alles sehr nach „Zukunftsmusik“. Aber schließlich ist die Idee die Hauptsache. Und wenn die Idee lebensfähig. ist, dann lassen sich mit der Zeit alle Schwierigkeiten überwinden. Und die Idee ist sicherlich geeignet, sich unserer Einbildungskraft zu bemächtigen.

Würden psychoanalytische Kollegialität und ärztliche Kollegialität gegeneinander abgewogen, mit wie vielen ärztlichen Analytikern würde die Psychoanalyse siegen? Ich hoffe und glaube, mit einer großen Majorität. Aber man könnte ebensosehr hoffen, daß eine andere Lösung gefunden wird, die ein harmonisches Zusammenarbeiten gestattet.

Die Fragen, die in diesem Buch aufgeworfen sind, gehen jeden Analytiker an, und da sie mit den Aufgaben der internationalen Lehrkommission der I. PsA. V. zusammenhängen, muß eine endgültige Entscheidung in dieser Sache in nicht zu langer Zeit getroffen werden. Wir alle müssen Prof. Freud dankbar sein, daß er durch ein Buch, das ebenso herausfordernd wie anregend ist, unsere Aufmerksamkeit gefesselt hat.

Ernest Jones (London)

Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse XII. Band 1927 Heft 1, pp. 101-107.

 

Di Antonello Sciacchitano

Nato a San Pellegrino il 24 giugno 1940. Medico e psichiatra, lavora a Milano come psicanalista di formazione lacaniana; riceve domande d'analisi in via Passo di Fargorida, 6, tel. 02.5691223: E' redattore della rivista di cultura e filosofia "aut aut", fondata da Enzo Paci nel 1951.

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